Sono 14455 i posti messi a disposizione quest’anno per entrare nelle scuole di specializzazione. Stimati oltre 26mila candidati. Tra le specializzazioni più gettonate c’è Pediatria. Preoccupa la «sovrapposizione di annate» che ha caratterizzato la prova di quest’anno facendo aumentare il numero di iscritti
Sono probabilmente i 210 minuti più lunghi della carriera quelli del Test di ingresso alla specializzazione, dove medici spesso freschi di laurea si giocano un pezzo importante di carriera. Il 22 settembre in tutta Italia è andato in scena, con un paio di mesi di ritardo, il test 2020 che quest’anno ha visto un numero record di iscritti: non ci sono dati ufficiali ma c’è chi parla di 26mila partecipanti che si contendono 14.455 borse di studio, di cui 13.400 finanziate dallo Stato, 888 dalle Regioni e 167 da altri enti pubblici e privati.
Dunque, oltre 10mila camici bianchi potrebbero ritrovarsi impantanati nel temuto “imbuto formativo”, questo limbo composto da persone laureate in medicina che però non riescono ad accedere ai corsi di specializzazione. Nonostante il cospicuo aumento di borse (oltre 5mila in più quest’anno), saranno ancora tanti i camici bianchi che dovranno cercarsi un lavoro precario o imboccare la via dell’estero.
All’Università La Sapienza di Roma, dove siamo andati a raccogliere le testimonianze a caldo, le prove si sono svolte in parte nella Facoltà di Giurisprudenza e in parte alla Fiera di Roma, questo per permettere il distanziamento necessario in tempi di Covid.
Tanti ragazzi hanno valutato la prova come più difficile degli anni passati. «Sono soddisfatto del punteggio, considerando che era più difficile degli anni scorsi – dice un ragazzo all’uscita -. Non c’è un metodo più giusto per fare questa selezione, questo è senz’altro il metodo più imparziale». Il suo sogno è entrare in pediatria perché «i bambini hanno delle personalità più interessanti rispetto a quelle degli adulti». «Come sempre il test avrà soddisfatto alcuni e deluso altri. Io probabilmente dovrò riprovare l’anno prossimo – ammette sconsolato un altro ragazzo che invece aspira a Cardiologia: «È l’unica branca che mi affascina e ho già fatto un’esperienza che mi ha convinto». «Era in equilibrio con le simulazioni che facevo, io mi sono esercitato con AIMS – Accademia Italiana Medici Specializzandi e non ho trovato grandi differenze – aggiunge un altro candidato che invece sogna di diventare Anestesista rianimatore: «Mi affascinano diverse cose del corpo umano e la conoscenza farmacologica. In terapia intensiva devi conoscere diversi ambiti. Poi mi piace anche l’ambito del primo soccorso. Il Covid non ha influito, anzi spero abbia fatto cambiare idea a tante persone». Di parere opposto una collega: «Era davvero difficile. Più difficile delle simulazioni. C’erano troppe domande le cui risposte erano molto simili tra loro a cui non era facile rispondere».
I candidati hanno dovuto sostenere una prova scritta, identica a livello nazionale, che consiste in un test di 140 quesiti a risposta multipla con cinque opzioni di risposta su argomenti caratterizzanti il corso di laurea in Medicina e chirurgia e su argomenti inerenti i settori scientifico-disciplinari di riferimento delle diverse tipologie di scuola inerenti il concorso. «Ho fatto un casino» ammette una ragazza che aggiunge: «Me lo aspettavo più semplice. In tutti i casi è solo un tentativo, io voglio fare il medico di base». Tra le specializzazioni più gettonate c’è Pediatria forse perché, come racconta una ragazza, «la parte umana che sta dietro è interessante e ti lascia molto». C’è invece chi ha scelto Neurologia perché «ha un lato oltre che medico anche assistenziale, umano molto bello. Spesso per le patologie neurologiche non c’è molto da fare da un punto di vista farmacologico ma dal punto di vista assistenziale si può fare tanto». «Secondo me serve una buona preparazione e i nuovi concorrenti non hanno la preparazione adatta per affrontarlo» spiega una giovane dottoressa, a cui fa eco una sua collega: «Non ho avuto tempo di studiare, mi sono laureata due settimane fa quindi non credo di averlo passato. Quest’anno cercherò di lavorare qua e là».
A caldo tanti ragazzi non vogliono pensare al rischio di rimanere intrappolati nell’imbuto formativo. Forse inizia a subentrare anche un po’ di rassegnazione e molti sono convinti che il miraggio di una borsa di studio per ogni laureato, come chiesto dalle associazioni di categoria, è destinato a rimanere tale. «Serve disponibilità di strutture e posti per tutti, servirebbe una borsa per ogni laureato» invoca un concorrente, mentre una ragazza spiega che si tratta «di un problema costante che si ripercuoterà anche sugli anni futuri e finché non si cambia qualcosa è difficile che ci sia un miglioramento anche dopo che verrà smaltita questa sovrapposizione di annate». «È un problema di soldi e politica», gli fa eco una collega che aggiunge: «Sarebbe meglio non far entrare le persone a Medicina se tanto poi non gli si dà la possibilità di specializzarsi».
Certamente, questi giovani medici non si fermeranno al primo scoglio e continueranno ad inseguire il sogno di una vita fino alla fine. Perché, come spiega una candidata, «abbiamo scelto di fare il medico per fare qualcosa di ‘universalmente utile’, per parafrasare il dottor Zivago».
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