Lavoro e Professioni 9 Giugno 2015 18:50

«Tra 10 anni non ci saranno abbastanza medici di famiglia»

Lancia l’allarme Joseph Portelli Demajo, vicepresidente Uemo. «Sempre meno giovani iscritti, necessario uniformare la legislazione europea»

«Tra 10 anni non ci saranno abbastanza medici di famiglia»

Il medico di famiglia è riconosciuto come specialista in sedici delle ventotto nazioni che compongono l’Unione Europea. L’Italia non fa parte di queste. Una differenza di legislazione che non è giustificata dal tipo di formazione ricevuta, che è praticamente la stessa ovunque, e che crea disagi non solo ai professionisti, ma anche ai pazienti che vogliono farsi curare in nazioni diverse da quella di provenienza.

L’Uemo (Unione Europea dei Medici di Medicina Generale) è l’organizzazione che si occupa di coordinare diversi nuclei nazionali e che raccoglie i rappresentanti dei camici bianchi di medicina generale di quasi tutti i Paesi europei. I membri si riuniscono ogni sei mesi in un forum in cui si discutono i vari problemi che i medici di famiglia riscontrano nei Paesi di appartenenza. «Da circa tre anni – spiega ai microfoni di Sanità informazione Joseph Portelli Demajo, vicepresidente Uemo – lavoriamo affinché il medico generalista venga riconosciuto come specialista in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Si tratta di un problema molto sentito in nazioni come Inghilterra, Austria o la stessa Italia e che crea difficoltà non solo al professionista, che in alcuni Paesi ha un tipo di qualifica e in altri una qualifica diversa, ma anche al paziente: in Europa – spiega Demajo – ci sono frontiere che i cittadini comunitari possono superare senza fatica né problemi. Quel che manca loro è però la sicurezza di trovare, nel nuovo Paese, medici generici specializzati. Questo è un problema».

Una differenza, quella evidenziata da Demajo, che non trova però giustificazioni se si guarda al sistema educativo adottato dall’Europa: «Ci sono molti studi – continua il vicepresidente Uemo – che dimostrano come la formazione del medico nei Paesi appartenenti all’UE sia praticamente la stessa ovunque. Esiste però una resistenza, che forse è politica, di accettare che la “scienza” del medico generalista possa e debba essere considerata una specializzazione a tutti gli effetti. Noi stiamo lavorando per ottenere questo riconoscimento, perché siamo certi che questa mancanza di uniformità rappresenti un fattore negativo per il settore: gli studenti non si sentono attratti da questo tipo di strada, non sono incoraggiati a percorrerla, e andando avanti, in particolare nei prossimi dieci anni, ci troveremo con una grande carenza di medici generici. Se questo problema non è riconosciuto a livello comunitario e non faremo passi concreti per affrontarlo ci saranno grossi problemi sia per i pazienti che per i governi». Il motivo? Mancanza di risorse economiche con cui sostenere la sanità: «È un fatto riconosciuto – conclude Demajo – che la cura meno costosa è quella primaria. Se questa non basta si passa ai vari tipi di cure secondarie che, però, costano allo Stato molto di più. Per questo motivo gli sforzi e le risorse vanno concentrate nel sostenere le cure primarie, ovvero quelle portate avanti dai medici generici. Se non viene risolto questo problema, ne conseguiranno molti altri, sia economici che sociali».

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