L’avvocato Hazan chiarisce alcuni dubbi sulla responsabilità degli specialisti spostati in altri reparti per emergenza Covid. Come comportarsi con i pazienti e con la struttura in caso di danno? È possibile rifiutare il nuovo incarico?
Il 2020 è stato un anno come nessuno per i professionisti della sanità. Di fronte alla pandemia, molti di loro hanno dovuto svestire i panni della propria specializzazione e indossare le tute protettive dei reparti Covid. Scarsità di personale, spesso dovuta a contagi interni, e un inatteso affollamento dei pazienti ricoverati, hanno convertito gli specialisti a nuovi ruoli emergenziali. Un territorio di operatività inesplorato porta però con sé delle possibili conseguenze impreviste.
Cosa rischia e come può difendersi un medico specialista trapiantato in un altro reparto dalla propria struttura in emergenza? Ha la possibilità di rifiutare il nuovo ordine di servizio? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Maurizio Hazan, tra i maggiori esperti in Italia di responsabilità professionale in sanità.
Il faro deve essere sempre la Legge Gelli-Bianco sulla responsabilità professionale, ricorda Hazan, per uno specialista che voglia tutelare sé e i propri pazienti di fronte a un nuovo incarico in reparto Covid. «Innanzitutto va verificato che ci sia un ordine di servizio chiaro – chiarisce l’esperto – in alcuni contesti addirittura mancano gli ordini di servizio, perché nessuno vuole prendersi la responsabilità di mettere nero su bianco alcune cose. Quindi ci si deve assicurare di averlo: in modo che non sembri una scelta volontaria ma risulti imposta dalla struttura».
Rifiutare un ordine di servizio è possibile, ma deve trattarsi di un’attività totalmente avulsa da quello che il professionista sa fare normalmente. «La possibilità di rifiuto – spiega Hazan – è molto discutibile, perché si tratta di tematiche nuove: non c’è una regola di cautela che possa ritrovarsi in processi già scritti. Però se si va a prendere un ruolo che il professionista in assoluto non saprebbe fare, allora si potrebbe opporre un rifiuto per evitare di mettere in pericolo il paziente».
«Il principio di fondo è quello che sta nell’articolo 1 della Legge Gelli – specifica l’avvocato – che dice che alla sicurezza delle cure e alla gestione corretta del rischio clinico devono concorrere tutti gli operatori della sanità, compreso tutto il personale. Il che vuol dire che in situazione di difficoltà, se viene richiesto uno sforzo particolare e si chiede di lavorare in reparto Covid per scarsità di operatori, con delle minime linee guida che ormai ci sono, senza pretendere atti di particolare difficoltà, penso che nessuno possa sottrarsi».
«Diversamente, se ti inserisco in un contesto che non solo non conosci, ma che non sei in grado di adempiere e può recare un pericolo al paziente allora il principio della sicurezza delle cure dovrebbe importi di dire no, per un tema di prudenza», aggiunge Hazan. Dunque se, con una valutazione che è molto difficile da fare, il medico ritiene che applicato fuori dalle sue competenze rischia di creare danno, dovrebbe astenersi. «Nessuno l’ha fatto finora, ma questo potrebbe essere un buon suggerimento», specifica. «Ovviamente è opportuno mettere tutto per iscritto, sia se si accetta che se si rifiuta l’incarico – conclude – alludendo all’articolo 1».
Accettare un nuovo incarico ed esercitare un’altra attività per la struttura per cui si lavora è, in contesto emergenziale, un dovere imposto al medico specialista. Tuttavia, proprio in virtù del cambiamento, sono molti i professionisti preoccupati per le possibili conseguenze di un errore in corsia. Sia in caso di citazione da parte di un paziente, che di rivalsa da parte della propria struttura.
In caso di responsabilità esterna, ovvero di citazione da parte del paziente si deve tener presente la condizione in cui si opera. Con l’emergenza, chiarisce l’avvocato Hazan, il pensiero dei giuristi è volto a ritenere che si possa applicare la norma che prevede responsabilità del medico solo in caso di colpa grave. «È raro – spiega – che un paziente citi direttamente il medico per chiedere il risarcimento, normalmente lo si cita in sincrono con la struttura, chiedendo a ciascuno il 100%. In questo caso l’emergenza ci consente di alzare il muro della colpa grave per tutte le condotte che esulano dalle normali attività svolte nelle situazioni ordinarie».
«Specie – prosegue – quando un soggetto prova ad operare fuori dal suo contesto elettivo, con mansioni diverse da quelle della sua specializzazione, si trova in una situazione di particolare difficoltà e quindi a maggior ragione sembra invocare il contesto della colpa grave, come da articolo 2236». Una “colpa grave” andrebbe a manifestarsi nel caso in cui un professionista si recasse a lavoro nel nuovo incarico in condizioni psicofisiche alterate, condizione in cui la risposta piena di responsabilità non trova esimente. «Diverso – ribadisce l’esperto – è il caso in cui si fa un errore legato ad attività che esulano dalle mie competenze specifiche dove ci deve essere una maggior tolleranza».
La casistica resta ancora troppo scarna per definire un iter, ma da gennaio è probabile che si registri un aumento dei contenziosi relativi a Covid-19 e sanità. La responsabilità interna, che include una possibilità di rivalsa della struttura sul professionista dopo l’azione del danneggiato, è il rischio che preoccupa maggiormente gli operatori sanitari. La rivalsa, ricorda però l’avvocato Hazan, è «di per sé limitata ai casi di colpa grave».
«È una possibilità nell’ambito pubblico e nell’ambito privato, regolata dall’articolo 9 della Legge Gelli. Può essere di carattere erariale in ambito pubblico e civilistica in ambito privato. Anche se un’azione di carattere civile non è da escludere anche nel primo caso» chiarisce Hazan.
L’esperto su questo punto è chiaro. «L’articolo 9 prevede che una rivalsa ci possa essere soltanto in caso di colpa grave e tra l’altro con il limite di tre volte la retribuzione per quelli che non sono in regime libero professionale. Quindi il limite che nel caso della responsabilità esterna abbiamo ipotizzato, qui è previsto dal legislatore. Oltretutto, elemento di novità, nell’ambito pubblico l’articolo 9 ci dice che il risarcimento va graduato anche in considerazione delle particolari difficoltà organizzative in cui versa la struttura, questo in termini generali vale sempre».
Il contesto emergenziale e la situazione di disagio organizzativo in cui versa la struttura che abbia obbligato lo specialista a cambiare ambito «costituiscono un principio tale da ritenere estremamente complesso che un’azione di rivalsa possa effettivamente configurarsi nei confronti del professionista». A cui dovrà unirsi anche «una limitazione del risarcimento che tenga conto delle difficoltà strutturali nelle quali lui opera».
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