Stipendio decurtato per un errore amministrativo: l’odissea di un’operatrice sanitaria per far valere il suo diritto
Una busta paga di poche decine di euro. È l’amara scoperta che ha fatto un’operatrice sanitaria di una Asl laziale con ventennale carriera alle spalle. Dopo aver pensato ad un errore ed aver però appurato amaramente che non lo era, la professionista è finita nel vortice della burocrazia amministrativa, brancolando nel buio a lungo prima di avere una spiegazione e quindi riuscire a fare valere i suoi diritti.
Attraverso una fredda comunicazione, senza particolari specifiche, la professionista viene a conoscenza che il suo stipendio mensile è stato decurtato per un debito orario. A questo punto, da una infinita spirale di mail e comunicazioni di vario genere – e solo dopo numerosi solleciti – riesce ad ottenere una spiegazione: l’alleggerimento dello stipendio è riferito al periodo in cui era stata sospesa dal lavoro, malgrado avesse già intrapreso il percorso vaccinale previsto dalla normativa vigente. La donna non si dà per vinta, continua a bussare negli uffici e inviare comunicazioni, ma è isolata dai colleghi e non trova supporto di nessun genere.
La dipendente si trova al bivio: chiedere che la somma decurtata sia almeno rateizzata, spalmandola in più mensilità, oppure andare fino in fondo. Tutti i suoi interlocutori anche aziendali le suggeriscono la prima soluzione, ma lei decide di affidarsi ai legali di Consulcesi & Partners. Il lavoro sull’ufficio personale produce intanto un’altra informazione che si rivela decisiva: nonostante dopo aver ricevuto la comunicazione di sospensione avesse subito completato il ciclo, inviando il relativo certificato di idoneità, gli uffici competenti avevano, invece, impiegato oltre 20 giorni per lavorare quella pratica. Il ritardo viene poi giustificato con la necessità di attendere le determinazioni dell’ufficio competente per la sicurezza sul lavoro. Grazie ai legali di Consulcesi & Partners, contesta questa motivazione ed ottiene l’immediato riaccredito della somma indebitamente decurtata.
«La contestazione – spiegano i legali di C&P – si fondava principalmente sul fatto che la professionista si era prontamente attivata, non soltanto per completare l’iter vaccinale previsto dalla legge, quanto per comunicare formalmente alla parte datoriale la disponibilità all’immediata ripresa del servizio, allegando il certificato di vaccinazione. Per contro, l’inerzia mostrata dall’azienda era del tutto inescusabile, anche in ragione del fatto che l’eventuale verifica del documento avrebbe potuto agevolmente eseguirsi interrogando la piattaforma informativa, che subito avrebbe confermato la circostanza, consentendo l’inoltro, nel giro di pochi momenti, dell’autorizzazione al rientro del dipendente. L’omesso ripristino del rapporto di lavoro dinanzi alla tempestiva offerta della prestazione da parte del lavoratore, se reiterato nel tempo, avrebbe quindi potuto condurre ad una declaratoria di illegittimità del rifiuto del datore, con conseguente obbligo di quest’ultimo all’obbligo retributivo anche in assenza della prestazione lavorativa, ragion per cui l’Azienda ha ritenuto opportuno desistere provvedendo bonariamente al rimborso di quanto illegittimamente detratto».
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