Intervista al senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri: «Governo e Parlamento si muovano per evitare ulteriori figuracce. I magistrati daranno sempre ragione ai camici bianchi che fanno ricorso»
Un’altra storia di diritti negati. Il senatore Luigi D’Ambrosio Lettieri (FI), membro della commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama, definisce con queste parole la vicenda dei medici italiani sottoposti a turni massacranti di lavoro in corsia.
Lo Stato italiano è – attualmente – fuori dalle regole imposte dall’Unione Europea attraverso la direttiva 2003/88, che prevede l’ammontare massimo di ore lavorative consecutive e i termini minimi di riposo settimanale per ogni singolo lavoratore. Nel nostro Paese questa normativa vale per tutti tranne che per il personale sanitario, che almeno fino all’inizio del prossimo anno continuerà a lavorare più del dovuto senza essere pagato di conseguenza, scoprendo il fianco dello Stato – e non delle singole aziende spesso impossibilitate a far rifiatare i medici per carenze d’organico – ad una valanga di ricorsi da parte dei camici bianchi danneggiati dall’inadempienza dello Stato.
Senatore D’Ambrosio Lettieri, il tema degli orari di lavoro nell’ultimo periodo tiene molto calda l’agitazione dei medici. L’Europa ha fatto sentire la sua voce e l’Italia si adeguerà, come al solito in ritardo.
«Orario lavorativo e riposo settimanale rappresentano le due facce di una stessa medaglia che è stata disciplinata, opportunamente, da una direttiva comunitaria introdotta nel 1993 che il nostro Paese ha recepito nel 2000 rendendola di fatto esecutiva soltanto nel 2003. Da questo momento è andato tutto secondo le regole fino al 2007. In quell’anno, infatti, la legge finanziaria valente per il 2008 viene inopinatamente approvata una norma che di fatto introduce una sorta di deregolamentazione dei principi sanciti dalla direttiva stessa, in questo modo negando quelli che erano i diritti stabiliti in capo ai medici e a tutta la dirigenza dell’area medica e sanitaria».
L’Italia si è però messa in regola, anche se solo dal prossimo anno.
«Naturalmente questo grave vulnus ha provocato momenti di vivace protesta per essere rimesso nuovamente in agenda. Tant’è che nel 2014, con la legge 161, si è proceduto a ripristinare i principi previsti dalle norme comunitarie. Con una sola eccezione: nell’articolo 14 di questa norma è previsto che il rispetto della normativa comunitaria decorre un anno dopo la vigenza della legge. Fatto, questo, che mi sembra in assoluto contrasto con la normativa comunitaria, con i più elementari principi del diritto e anche con i principi di etica legislativa. Per questo motivo intendiamo organizzare una vera e propria “crociata” per il rispetto dei diritti degli operatori sanitari. È necessario e doveroso porsi il problema nel modo adeguato: non è possibile infatti che i lavoratori che sostengono il Servizio Sanitario Nazionale con il loro lavoro debbano farsi carico anche della responsabilità di mantenere sostenibile un sistema universale e solidaristico pagando di tasca propria solo perché lo Stato non riesce a farlo. Per questo motivo è necessario fare due cose: primo, ripristinare i diritti dei medici e di tutti gli operatori della sanità che sono stati privati del trattamento economico spettante; secondo, riportare dentro il dibattito, ma con consequenziale impegno concreto, il tema della sostenibilità del Ssn con riferimento anche agli oneri spettanti a chi questo sistema non soltanto lo fa forte, credibile e qualitativamente apprezzato per l’efficienza, ma anche a chi lo sostiene sotto il profilo scientifico. Una crociata, torno a dire, che vale la pena fare per ripristinare le condizioni di regolarità in un Paese che vuole che vinca sempre la democrazia».
Senatore, in questa perfetta cronologia dei fatti emergono ampi spazi a disposizione dei medici per ricorrere ed ottenere un rimborso per le ore lavorate in più. È bene sottolineare che chi ricorre non lo fa contro l’azienda per cui lavora ma contro lo Stato, l’unico soggetto, in questa storia, che deve adeguarsi alla normativa e trovare soluzioni.
«Indubbiamente. Spiace il fatto che siano i medici a doversi accollare gli oneri di un ricorso per far valere i propri diritti. Spero comunque che si tenti di trovare una soluzione anche tramite attività di sindacato ispettivo e parlamentari per sollecitare il governo a fare il possibile per evitare ulteriori figuracce. Perché di questo si tratta. Ove il governo però non dovesse trovare la modalità giusta per dare una tempestiva ed esaustiva risposta al problema, non v’è dubbio che bisognerà tristemente, ancora una volta, fare ricorso alla sentenza del magistrato che naturalmente darà ragione ai medici e agli operatori dell’area sanitaria con oneri aggiuntivi e spese maggiorate che preferiremmo fossero risparmiate con un atto di resipiscenza e di responsabilità».