Intervista alla senatrice Serenella Fucksia: “Condizioni di lavoro logoranti mettono a rischio la vita dei camici bianchi e quella dei cittadini. È il momento che il Parlamento agisca”
I medici sono sempre meno soli. Il fronte contro i cosiddetti turni massacranti cui vengono sottoposti i camici bianchi italiani si fa ancora più ampio e comprende forze sindacali e politiche di ogni schieramento.
L’Italia si è adeguata con colpevole ritardo alla direttiva europea 2003/88 sugli orari di lavoro, applicata nel nostro Paese per tutti i lavoratori tranne che per quelli che operano in ambito sanitario, spingendoli a fare ricorso per ottenere un rimborso economico per le ore lavorate in più. Sul tema abbiamo raccolto diverse voci, tutte concordi sull’esigenza di trovare una soluzione istituzionale. A partire dalla senatrice del Movimento 5 Stelle Serenella Fucksia, Segretario della 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità) di Palazzo Madama.
Senatrice Fucksia, uno dei temi più caldi relativi al settore sanitario italiano è quello degli orari di lavoro dei medici, sottoposti a turni massacranti per mancanza di risorse e personale.
«In Italia abbiamo medici e operatori sanitari che, pur lavorando molto di più dei colleghi europei, guadagnano di meno perché non gli vengono pagati gli straordinari. Teniamo presente che quello effettuato in ospedale è un lavoro logorante e usurante. Mi riferisco soprattutto a chi opera in sala operatoria, a chi fa i turni di notte, a chi gestisce le emergenze dei Pronto Soccorso e dunque deve spesso prendere decisioni molto difficili in tempi rapidissimi senza, però, avere a disposizione gli strumenti giusti. Conosco la questione perché mi sono occupata personalmente di una proposta di legge sui lavori usuranti: esistono delle mansioni che non possono essere svolte ad una certa età, perché il lavoratore non è più in condizioni di farlo. E questo non va soltanto contro al diretto interessato – nel nostro caso al medico – ma anche al paziente».
Quello dei turni massacranti è un tema sollevato dall’Unione Europea attraverso una normativa specifica sugli orari di lavoro. Un obbligo che l’Italia, almeno inizialmente, non ha rispettato e che non rispetterà almeno fino all’inizio del prossimo anno. Nel frattempo, però, i medici cominciano ad agire anche dal punto di vista legale verso lo Stato e non contro le Aziende in cui lavorano per ottenere un rimborso per le ore lavorate in più. Le istituzioni devono prenderne atto.
«È certamente giusto che le istituzioni ne prendano atto ma, anche qui, continuiamo a prenderci in giro: recepiamo le direttive europee ma poi spesso e volentieri ci accorgiamo di non essere pronti ad attuarle. Non si può andare avanti così, non si può sempre cercare la soluzione all’italiana: se siamo in Europa dobbiamo anche avere la dignità necessaria per starci. C’è però da dire anche che l’Italia è diventata il Paese che spende di meno per la sanità sia a livello europeo che mondiale, ma le risorse risparmiate vanno reinvestite: nel personale innanzitutto, ma anche nella formazione. I tagli non devono andare ad incidere sulla qualità della prestazione sanitaria».