Ricciardi e Anelli favorevoli all’obbligatorietà del vaccino se la risposta della categoria non dovesse essere adeguata. Ma è possibile imporlo? L’opinione di due costituzionalisti
Se per il Viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, non è un tabù pensare ad «una qualche forma di obbligo vaccinale» anti-Covid se «dopo un anno, un anno mezzo, scopriamo che meno del 30-40% della popolazione ha fatto il vaccino», cosa succederà se lo stesso dovesse accadere tra gli operatori sanitari, ovvero una delle categorie che avrà diritto ad essere vaccinata per prima?
«Se gli operatori sanitari non faranno il vaccino, io sono per una forma di obbligo». Lo ha detto Walter Ricciardi, consigliere del Ministero della Salute e docente di Igiene all’università Cattolica di Roma, intervenuto alla trasmissione Agorà su RaiTre.
«Quest’anno la campagna sulla vaccinazione antinfluenzale sta andando molto bene – ha spiegato –, l’abbiamo messa in certe regioni come obbligatoria e in alcune abbiamo superato il 70%». Si può dunque raggiungere il risultato con un mix di promozione e moral suasion, ma se i risultati non dovessero essere quelli sperati, secondo il consigliere del Ministero della Salute si potrebbe pensare di «inserire una clausola per gli operatori sanitari e per quelli a stretto contatto con il pubblico, e rendere obbligatorio il vaccino».
Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO), ha lanciato il suo appello ai camici bianchi in un’intervista al Corriere della Sera: «Il vaccino è uno strumento potentissimo di difesa dei cittadini e della nostra professione che durante la pandemia ha subito troppe perdite. Non dobbiamo sottrarci», ha spiegato, anche perché «la deontologia ce lo impone».
«Si potrebbe comprendere l’obiezione di colleghi che lavorano in laboratorio – prosegue Anelli – ma non di quelli che operano ogni giorno a contatto diretto col paziente». Il numero uno della FNOMCeO ha poi parlato del “patentino di immunità”, che «dovrebbe essere un requisito per il personale di reparti critici come terapia intensiva, malattie infettive e pneumologia. Su questo non transigo: se vuoi lavorare in quelle aree devi metterti in condizioni di dare sicurezza». E nel caso in cui la partecipazione spontanea di queste categorie alla campagna vaccinale non fosse alta, anche secondo Anelli «si dovrebbe ragionare sull’obbligatorietà. La salute pubblica è un bene superiore alla libertà individuale».
«Un sanitario che non si vaccina è un pericolo per i suoi pazienti. In Italia però gli viene garantita la libertà di mettere in pericolo i suoi pazienti in nome dell’egoismo e dell’ignoranza». Lo ha scritto su Twitter il virologo Roberto Burioni, docente all’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, commentando un articolo su un’infermiera in Sicilia che era stata sospesa dopo aver rifiutato di vaccinarsi contro l’influenza, come richiesto dall’assessorato regionale alla Salute, ma poi ha vinto la causa ed è rientrata al lavoro: «Strano concetto di libertà quello che esiste nel nostro Paese», ha concluso il virologo.
È possibile imporre l’obbligo di sottoporsi al vaccino anti-Covid? Stando a quanto il Presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick ha dichiarato all’AdnKronos, «l’obbligo di vaccinazione contro il coronavirus è certamente una ipotesi costituzionalmente praticabile, attraverso una legge del Parlamento o di un decreto legge del governo che sia poi convertito in legge».
Secondo Flick «la gestione della propria salute è rimessa soprattutto all’autodeterminazione del soggetto, ma va al tempo stesso inserita in un discorso di obbligo di solidarietà e dunque con la previsione della possibilità di dover sottostare a indicazioni dello Stato, che ad esempio renda obbligatori in tempo di pandemia l’uso del vaccino».
Per il Presidente emerito della Corte Costituzionale, inoltre, «anche una forte raccomandazione, che può essere giustificata in relazione alla considerazione di maturità delle persone, da un punto di vista giuridico vale esattamente come l’obbligatorietà». Tanto è vero che lo «Stato riconosce un indennizzo nel caso in cui chi ha risposto positivamente alla raccomandazione statale ne abbia poi ricevuto un danno».
Anche per un altro Presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli, «l’obbligo di vaccinarsi contro il coronavirus può benissimo essere introdotto dallo Stato, purché a farlo sia non un Dpcm governativo ma una legge ordinaria approvata dal Parlamento».
Mirabelli ha spiegato all’AdnKronos che esistono già altri vaccini obbligatori, ma riguardano i minori: «Il problema è valutare se si è o meno di fronte a un pericolo grave, che non sia fronteggiabile diversamente e per il quale i benefici del vaccino siano reali: pensiamo ad esempio alla poliomielite o al vaiolo, che sono stati debellati proprio grazie alla vaccinazione».
Il Presidente emerito della Consulta però avverte: «Obbligo non vuol dire coattività. Nel senso che se disobbedisco all’obbligo andrò incontro alle sanzioni che saranno previste dalla legge». Chi non si vaccina non «viene inseguito dalle forze dell’ordine e portato in un ospedale dove un medico gli inserirà una siringa a forza. Obbligo vuol dire che c’è un dovere di obbedire ma non una coazione fisica che costringa all’obbedienza».
In fondo, ragiona Mirabelli, «è comunque interesse dell’individuo se la vaccinazione lo rende immune da un pericolo». Ma al tempo stesso è «anche interesse della collettività», e se ci fosse un «danno arrecato dal vaccino reso obbligatorio, la persona dovrebbe essere indennizzata. Del resto, ogni vaccino ha una percentuale, magari anche minima, di rischio. Ma l’interesse generale prevarrebbe sui dubbi e sulle remore del singolo».
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