«I medici genitori di figli disabili o figli di persone anziane con malattie degenerative vengono caricati di responsabilità. I possibili peggioramenti o non miglioramenti del familiare si possono riflettere sulla sua autostima»
In Italia sono circa 8,5 milioni i caregiver. Una figura destinata a ricoprire un ruolo sempre più essenziale, considerato l’invecchiamento della popolazione: le persone anziane infatti hanno bisogno di assistenza e di cure, delle quali si occupano prevalentemente i familiari.
Ci addentriamo nel tema con la dottoressa Lucilla Boschero, dirigente medico del lavoro e Segretario provinciale Cisl Medici di Frosinone.
Sentiamo spesso parlare di caregiver, ma può spiegarci chi sono?
«Il termine anglosassone “caregiver“ è entrato ormai stabilmente nell’uso comune; indica “colui che si prende cura” e si riferisce naturalmente a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato o disabile. Identifica la persona che si occupa dell’accudimento e della cura di chi non è in grado di provvedere a se stesso in maniera autonoma, del tutto o in parte».
E quando il caregiver è un medico?
«Quando un medico è genitore di figlio disabile o è figlio di persone anziane con malattie degenerative, il peso psicologico e fisico sostenuto (detto anche “burden”) aumenta in modo considerevole. Le aspettative del familiare malato o disabile sono maggiori. Viene caricato di responsabilità anche dagli altri familiari ed è costretto a fare scelte spesso difficili. Quando queste scelte non hanno esito favorevole è dilaniato dai sensi di colpa. Infatti, i possibili peggioramenti o non miglioramenti del familiare si possono spesso riflettere sulla sua autostima, giacché può essere vissuta come un’inefficienza ad assisterlo bene. Soprattutto nel caso in cui il malato non sopravviva, gli altri familiari possono criticare l’operato del medico, pensando che non sia stato in grado di curare il congiunto nel giusto modo o che si sia affidato a colleghi poco preparati, oppure ritenendo che la sua mancanza di conoscenze o di abilità specifiche abbia potuto nuocere all’assistenza o alla sopravvivenza del familiare malato».
Se si tratta di una donna medico?
«Le donne medico madri di figli con gravi disabilità meritano un capitolo a parte. Il coinvolgimento emotivo è ancora più grande in quanto le sconfitte si ripercuotono inevitabilmente sulla vita lavorativa e sulle relazioni sociali».
I medici non staccano mai la spina. Se abbiamo un amico medico ci sentiamo in diritto di chiedergli un consiglio anche a cena o se lo incrociamo casualmente al supermercato…
«La funzione complessa di una professione di aiuto (helping profession) quale è quella del medico, richiede equilibrio, motivazione ed impegno quotidiano. Non poter “staccare la spina” quando si rientra dal lavoro ed essere sommersi dalle responsabilità di caregiver comporta un alto rischio di burnout, quello stato di esaurimento psico-fisico che colpisce coloro che svolgono attività lavorativa a stretto contatto con il prossimo e che si ripercuote inevitabilmente sull’attività professionale. Il medico competente aziendale nel corso della sorveglianza sanitaria, nelle situazioni in cui dovesse evidenziarsi una sindrome da burnout, dovrà necessariamente valutare anche l’aspetto extra-lavorativo ed aiutare il medico con appropriate prescrizioni o limitazioni che possano alleggerire il carico psicologico, valutando anche l’invio ad uno specialista della materia».
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