ESCLUSIVA | Il racconto di un giovane medico della provincia di Napoli: «Alle proteste degli altri pazienti, il marito li aizzò contro di noi. La mia collega ebbe un malore ed intervennero Polizia e Carabinieri». Eventi come questi «accadono troppo spesso». La soluzione? «Controllo maggiore delle forze dell’ordine»
Quando va bene, si litiga, si alza la voce, ma dopo pochi minuti tutto torna alla normalità. Quando va male, uno dei due (quasi sempre il medico) finisce al Pronto Soccorso. Se è fortunato, però, al Pronto Soccorso c’è già, e il naso rotto o l’occhio nero può curarli in pochi minuti. Le aggressioni al personale sanitario (camici bianchi, infermieri, addetti alla sicurezza, insomma chiunque lavori a vario titolo in un ospedale) sono diventate un vero e proprio dramma a causa di un’escalation enorme di casi negli ultimi anni. «Qualche settimana fa ero in treno con un collega – ci confida un giovane medico specializzato di Napoli – quando ha ricevuto una telefonata in cui gli veniva detto che un suo amico, anche lui medico, era stato appena preso a pugni perché un paziente non aveva “gradito” il modo in cui gli era stato tolto il gesso dal braccio». Anche il collega aggredito lavorava a Napoli, e non era neanche il primo episodio che lo vedeva come protagonista o, quanto meno, come spettatore.
«Anche a me è successo qualcosa del genere, anche se per fortuna non siamo “arrivati alle mani”», ci racconta. L’episodio è avvenuto la scorsa estate ed ha destato così tanto scalpore da finire sulle pagine di cronaca dei giornali locali. Siamo in provincia di Napoli. Una coppia di coniugi, non più giovanissimi ma nemmeno troppo anziani, si reca al Pronto Soccorso perché la donna accusa dolori e gonfiore alle gambe. «La visitò una mia collega – ci racconta il giovane medico –, che dopo poco la dimise dato che la problematica, di tipo acuto, si era risolta in quanto non provava più fastidio. Come succede in questi casi, la dimissione prevede la raccomandazione di indagare successivamente il problema dal punto di vista ambulatoriale». Una raccomandazione che, evidentemente, non va giù al marito della donna, il quale si aspettava una diagnosi e una cura molto più approfondite.
«Le cose precipitarono. Il marito cominciò ad inveire contro il personale della struttura sostenendo di non aver avuto il supporto necessario e di essere stato dimesso senza diagnosi certa, come invece secondo lui doveva avvenire. Dato che non accennava a calmarsi, sono intervenuto in difesa della mia collega, spiegandogli perché la sua richiesta non aveva fondamento: eravamo in un Pronto Soccorso, e ai Pronto Soccorso ci si rivolge per avere un primo trattamento in caso di emergenza, dopodiché per tutto il resto ci si rifà alle visite ambulatoriali. L’uomo si arrabbiò ancora di più e cominciò ad urlare minacciando querele, chiedendomi chi fossi e come mi permettersi di rivolgergli la parola. Il problema era che, oltre ad inveire contro di noi, stava letteralmente bloccando tutta la nostra attività». Non è difficile capire, infatti, che se un paziente dà in escandescenze, non è solo il personale a rimetterci, ma anche gli altri pazienti che aspettano – magari da ore – il proprio turno. Una lamentela nei confronti dei camici bianchi, dunque, ha effetti negativi anche per chi ha bisogno di assistenza. Ed in effetti anche in questa occasione i disagi creati da quella sceneggiata causano malumori tra i pazienti. Nello specifico, è mezzogiorno e la struttura è particolarmente affollata: «Per rimediare alla brutta figura che stava facendo – continua il racconto – il marito della signora prese ad aizzare la folla come il peggior capopopolo, sostenendo che stava protestando anche per loro, e che anzi avrebbero dovuto ringraziarlo».
In tutto ciò, la moglie, un po’ in disparte, ne approfitta per chiamare Carabinieri e Polizia, che dopo un po’ arrivano, ma solo quando entrambi i coniugi avevano già levato le tende. «Al termine della lite la mia collega ebbe un malore: pressione oltre i 200, crisi respiratoria e attività ancora bloccata dopo ore».
«Di storie così ne sento tante, in particolare nella nostra zona. L’unica cosa che si può fare per diminuire gli episodi è rafforzare la sorveglianza: serve un controllo maggiore da parte delle forze dell’ordine. È l’unica “innovazione” che può avere un effetto concreto».