Il crescente numero di aggressioni ad operatori sanitari ha spinto le Regioni ad attivare delle strategie per fronteggiare l’emergenza in attesa delle iniziative del Governo. Servizio di Vigilanza in Piemonte e Liguria, telecamere per ambulatori e ambulanze in Lombardia mentre in Veneto formati 90 istruttori antiviolenza
Presidi di forze dell’ordine negli ospedali per garantire interventi rapidi a tutela di medici e operatori sanitari. Dopo l’ennesima aggressione, il governo corre ai ripari. Il Ministero dell’Interno ha avviato una mappatura delle strutture ospedaliere per individuare quelle maggiormente a rischio, una fotografia che sarà pronta nei prossimi giorni e consentirà di definire il piano di intervento con l’obiettivo di garantire la tutela del personale medico e infermieristico e di disinnescare ogni eventuale tensione tra pazienti, famigliari e camici bianchi. Nel frattempo, le regioni che non sono rimaste a guardare, hanno cercato di far fronte all’ondata di violenza contro i camici bianchi con iniziative singole.
Tra i primi ad attivarsi per garantire l’incolumità di medici e infermieri è stato il Piemonte che durante la pandemia ha avviato un piano di vigilanza nei Pronto Soccorso tale da ridurre il numero di aggressioni, come conferma l’assessore regionale alla Sanità, Luigi Genesio Icardi: «A Torino il servizio di vigilanza armata nei Pronto Soccorso è attivo da tre anni – spiega Icardi – perché il personale deve poter lavorare in condizioni protette e gestire le emergenze in sicurezza, esprimendo il massimo della professionalità, con riflessi positivi anche sull’assistenza e la cura dei pazienti».
Un impegno dell’amministrazione regionale che tradotto in numeri significa aver ridotto a zero i casi di aggressione negli ospedali del capoluogo piemontese dove è attivo il servizio. «Il Pronto Soccorso rappresenta una delle principali porte di accesso del cittadino alle strutture sanitarie – fa notare l’assessore – quindi sicurezza e accoglienza devono essere sempre garantite. Un luogo sicuro è sinonimo di clima favorevole, presupposto indispensabile alla creazione di un necessario rapporto di fiducia tra pazienti, familiari e professionisti della sanità».
In quest’ottica l’impegno di Regione Piemonte prosegue con l’impiego della vigilanza armata in altre strutture e con l’attivazione di telecamere. «Oltre alla vigilanza armata, sempre al fine di potenziare la sicurezza degli ambienti di lavoro – aggiunge Icardi -, in numerosi ospedali sono stati rivisti e implementati i servizi di videosorveglianza, sempre però nel rispetto della normativa in tema di privacy».
Uno studio realizzato dall’Università di Genova nei mesi scorsi ha confermato il trend nazionale in ambito di aggressioni a medici e operatori sanitari rivelando che 1 infermiere su 3 è stato vittima di violenza fisica o verbale. In attesa di conoscere le linee di indirizzo del Ministero quindi la Regione da tempo si è attivata per garantire l’incolumità dei camici bianchi. « Ad oggi ci sono sul territorio iniziative legate ai singoli ospedali, con la presenza di forze dell’ordine e, dove necessario, un eventuale supporto supplettivo o complementare del sistema di guardie giurate – fanno sapere dall’assessorato alla Sanità ligure – Si tratta però di un piano che ha una sua definizione da tempo, non generato in modo specifico per un’allerta o un allarme sul territorio. Differente è la questione sollevata dal Ministero che è in fase di definizione e stiamo attendendo indicazioni».
Chi da almeno tre anni può contare su una legge regionale per la tutela del personale sanitario (legge 15/2020) è Regione Lombardia. Le linee guida predisposte dalla direzione regionale del welfare prevedono corsi di formazione rivolti ad operatori del settore sanitario, installazione di telecamere a circuito chiuso e collegamenti diretti con le forze dell’Ordine, misure che hanno interessato non solo i Pronto Soccorso, ma anche le associazioni di volontariato che fanno attività di soccorso per conto di AREU, a cui sono stati destinati fondi per l’acquisto di telecamere per ambulatori e ambulanze. Le iniziative messe in campo fino ad oggi però sembrano non bastare dal momento che gli episodi di aggressione a medici, infermieri ed operatori sanitari sono addirittura aumentati. In particolare, ad essere colpiti sono i camici bianchi dell’emergenza- urgenza che devono fare i conti molte volte con pazienti costretti a lunghe attese nel Pronto Soccorso.
«L’incremento di fenomeni violenti che riguardano soprattutto il personale sanitario nei reparti di pronto soccorso va affrontata in maniera concreta con interventi integrati a cui devono necessariamente partecipare anche le forze dell’ordine e le amministrazioni locali – dichiara Emanuele Monti, consigliere regionale lombardo e presidente della III Commissione Sanità e Politiche sociali – . Controllare gli accessi alle strutture e potenziare la videosorveglianza sono gli obiettivi della legge votata all’unanimità dal Consiglio regionale della Lombardia e che ha dato un importantissimo segnale a livello nazionale per sensibilizzare Governo e Parlamento sul tema. La strada tracciata è quella giusta, ma non possiamo permetterci di abbassare la guardia».
Veneto: formati istruttori antiviolenza, mentre si pensa ai vigilantes
Anche in Veneto, dove si sono registrati nei mesi scorsi diversi episodi di violenza ai danni di medici e infermieri, si attende con fiducia l’intervento del Ministero su cui sono riposte molte speranze, ma nel frattempo si lavora per cercare di contenere il fenomeno. Nei mesi scorsi è stato avviato il corso per la formazione di 90 istruttori antiviolenza, personale proveniente da tutte le aziende sanitarie del territorio la cui formazione è stata affidata alla Fondazione Scuola di Sanità Pubblica con la U.O.C Rischio clinico di Azienda Zero. Il personale, una volta formato su autocontrollo, autodifesa, capacità di gestire i momenti di paura in una situazione di profondo stress, verrà poi inserito capillarmente all’interno delle singole realtà per trasferire ai colleghi le strategie utili per affrontare eventuali aggressioni. Prevenzione e gestione del pericolo rappresentano dunque le strategie messe in campo fino ad oggi da Regione Veneto ma, in attesa delle azioni del Governo, c’è chi in Regione chiede l’istituzione di presidi di vigilanza negli ambulatori più a rischio.
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