A mandare in tilt i reparti di emergenza-urgenza non è solo il Covid-19, ma anche l’influenza stagionale. Il presidente SIS 118: «Per ogni ambulanza bloccata, c’è un paziente a bordo in attesa di cure e un altro che aspetta ancora il primo soccorso»
Quarta ondata e quarto corso e ricorso storico in meno di due anni: giorno dopo giorno crescono i contagi e aumenta il numero di morti per Covid-19. Anche davanti a molti pronto soccorso italiani si respira la stessa aria di qualche tempo fa, sembra un déjà vu: «Ambulanze in fila, l’una dietro all’altra, in attesa che all’interno dell’ospedale si liberino i posti letto necessari ad accogliere i nuovi pazienti», racconta Mario Balzanelli, presidente nazionale della Società Italiana Sistema (SIS) 118.
A mandare in tilt i reparti di emergenza urgenza non è solo il Covid-19, ma anche l’influenza stagionale che quest’anno raggiungerà il suo picco (previsto intorno a Capodanno) con un mese di anticipo, in concomitanza con la nuova ondata di Sars-CoV-2. «Una situazione che avremmo potuto gestire in maniera adeguata se solo fosse stata disposta l’implementazione, sia dei mezzi di soccorso che degli operatori sanitari, che la SIS 118 aveva già richiesto sin dalle prime fasi dell’emergenza – aggiunge Balzanelli -. In situazioni emergenziali come quella che stiamo vivendo, servirebbero almeno tre ambulanze in più ogni 500 mila abitanti». Calcolatrice alla mano, circa 360 mezzi di soccorso aggiuntivi a quelli già operativi su tutto il territorio nazionale.
Per ogni paziente che aspetta all’interno dell’ambulanza ce n’è, potenzialmente, un altro che attende ancora il primo soccorso. «Vedere anche una sola ambulanza ferma davanti ad un pronto soccorso è indice di un duplice allarme – sottolinea il presidente SIS 118 -. In entrambi i casi, il ritardo potrebbe compromettere il buon esito dell’intervento, se non addirittura mettere a rischio la vita di uno o più pazienti. Le nostre prestazioni – spiega Balzanelli – sono tempo-dipendenti».
Ma non è tutto. La pandemia ha allungato anche il lasso di tempo necessario affinché un’ambulanza, che ha appena terminato il suo intervento, possa tornare nuovamente operativa. «Una volta assicurato il paziente alle cure del personale del pronto soccorso, l’equipaggio dell’ambulanza non può rendersi immediatamente disponibile. Il mezzo e le strumentazioni devono essere sanificati e il personale di turno procedere a svestizione e vestizione. In altre parole, un intervento per un caso Covid, che sia conclamato o semplicemente sospetto, ha dei tempi lunghissimi».
Per evitare che la situazione possa ulteriormente peggiorare, per il presidente Balzanelli è necessario un impegno unanime di tutta la cittadinanza e non solo delle Istituzioni, che impongono restrizioni, e dei medici e professionisti sanitari, che si impegnano ad offrire il migliore livello di assistenza possibile.
«In epoca di varianti non è più tempo di mascherine chirurgiche – sottolinea Balzanelli -. È necessario indossare sempre le FFP2 e, in luoghi particolarmente affollati, che andrebbero comunque evitati a priori, sarebbe opportuno coprirsi pure gli occhi. Essere vaccinati non significa, come spesso si ritiene erroneamente, essere esenti dal rischio di infettarsi o di infettare. Significa avere una probabilità estremamente ridotta di sviluppare forme cliniche gravi della malattia, di essere intubati o di morire a causa del Sars-CoV-2. Il vaccino è una risorsa salvavita e rappresenta, almeno per ora, l’unica vera arma di cui disponiamo. Ma anche il buon senso è altrettanto fondamentale. La pandemia non è finita ed anzi ci stiamo pian piano avvicinando ad una nuova fase critica da gestire. E gli esiti – conclude Balzanelli – sono nelle mani di tutti noi».
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