Lavoro e Professioni 17 Giugno 2021 16:27

Case di Comunità, da Nord a Sud la rivolta dei medici di famiglia: «Piccoli e medi centri penalizzati, guai a perdere la prossimità»

Da Palestrina a Castelfidardo, da Valle Cavallina a Borgofranco D’Ivrea, viaggio nelle realtà lontane dai grandi centri urbani dove la riforma prevista dal PNRR preoccupa

di Giovanni Cedrone, Federica Bosco e Chiara Stella Scarano
Case di Comunità, da Nord a Sud la rivolta dei medici di famiglia: «Piccoli e medi centri penalizzati, guai a perdere la prossimità»

L’Italia dei piccoli comuni, delle aree interne e montuose, lontana dai grandi centri urbani, potrebbe non reggere l’impatto della riforma delle Case di Comunità così come pensata nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. A lanciare l’allarme sono, da nord a sud, i medici di famiglia che operano in queste realtà e che hanno raccontato a Sanità Informazione tutti i rischi di una riforma che mette a repentaglio il vantaggio della prossimità e del rapporto diretto con i pazienti nelle città medie e piccole, garantiti invece dalla presenza capillare degli studi medici.

Con i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, saranno aperte 1.288 Case di Comunità entro il 2026 per avere una “Casa” ogni 20-25mila abitanti. In queste strutture, al fine di poter fornire tutti i servizi sanitari di base, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta lavoreranno in équipe, in collaborazione con gli infermieri di famiglia, gli specialisti ambulatoriali e gli altri professionisti sanitari. Il costo complessivo dell’investimento è stimato in due miliardi di euro.

Nord. I dubbi di Paola Pedrini (Lombardia) e Roberto Venesia (Piemonte)

Le Case di Comunità non convincono Roberto Venesia, medico di base a Borgofranco D’Ivrea e segretario di FIMMG Piemonte. «Ho una visione critica della riforma perché credo che prima di costruire dei modelli sia indispensabile definire ruoli e obiettivi. Più delle case della salute sarebbero necessarie le reti della salute».

In particolare per Venesia, che stima un flusso di cittadini pari a 150mila unità giornaliere negli studi dei medici di medicina generale del Piemonte, «sarebbe inopportuno gettare alle ortiche la presenza capillare sul territorio dei MMG che hanno con il paziente un’alleanza sanitaria. In particolare con i cronici, per i quali è importante definire un dialogo e una condivisione di percorsi tra le équipe».

Dubbi sulle Case di Comunità arrivano anche dalla Lombardia con il segretario FIMMG Paola Pedrini, che vi vede un’opportunità solo per i centri di media grandezza. Pedrini, medico di medicina generale a Valle Cavallina (BG), spiega: «Le case della salute possono essere un luogo di condivisione tra medicina del territorio, specialisti ambulatoriali e altre realtà, come gli assistenti sociali. Sotto questo punto di vista, può essere un’opportunità».

Per quanto riguarda la prossimità, invece, Pedrini ritiene debba essere prevista comunque la presenza della medicina di gruppo, «perché mentre le Case della Salute possono andare bene nei centri di media grandezza, nella piccola periferia è necessario mantenere il rapporto di vicinanza e di fiducia che i medici creano con i propri pazienti».

Un modello, quello immaginato dal segretario regionale FIMMG Lombardia, che prevede la casa della salute come hub, ma con delle ramificazioni territoriali: «Se parliamo di rapporto tra ospedale e territorio, la soluzione non può essere la Casa di Comunità – sottolinea -, mentre la medicina di gruppo sì, e dove il professionista dovrà lavorare da solo, sarà supportato da personale amministrativo e infermieristico».

Centro. Magi (Marche) e Marrocco (Lazio): «Non perdiamo la capillarità degli studi»

«Io lavoro a Castelfidardo (Ancona), comune noto per le fisarmoniche e per l’unità d’Italia. È una città di 20 mila abitanti dove il medico di famiglia è ancora molto importante nella centralità del percorso di salute delle persone», ci racconta subito Massimo Magi, segretario FIMMG Marche, che spiega: «Purtroppo negli anni il concetto di prossimità è stato declinato in termini non di coinvolgimento e di partecipazione dei cittadini ma visto dall’alto come un aspetto verticistico, quasi specialistico, e questo ha fatto perdere la vicinanza della cura e dell’assistenza dei cittadini».

Magi spiega l’impatto che potrebbe avere la riforma nelle Marche: «Attualmente noi abbiamo un medico ogni 3-4 kilometri quadrati. Con le Case di Comunità avremmo un presidio dove potrebbero esserci anche 10 medici, ma ce ne sarà uno ogni 160 km quadrati. A Castelfidardo probabilmente dovremo rivolgerci ad Osimo o Ancona, per cui la persona anziana sarà costretta ad andare lì. Senza contare l’impatto sui paesi montani: penso a tutta la zona degli Appennini, a paesi come Smerillo, Montefalcone Appennino, Comunanza: sono piccoli e bellissimi paesi che rischiano di rimanere senza medici perché il medico lo troveranno ad Ascoli Piceno o Fermo, a 50 chilometri di distanza».

Magi poi pone attenzione al tema del rapporto diretto che c’è nei centri medi e piccoli tra medico di famiglia e paziente, un rapporto che spesso va al di là della mera relazione di cura: «Il medico di medicina generale acquisisce nel tempo una conoscenza e una sensibilità nei confronti delle problematiche dei propri pazienti non solo clinica e medica, ma anche sociale e relazionale, che diventa una sorta di raggio penetrante sulle diagnosi e sulle problematiche dei pazienti. Mediamente un medico ha un paziente che dura circa 15 anni: quante informazioni immagazzina in questi anni? Lo incontra a messa, in piazza, al mercato, nello studio. Tutto questo si sedimenta. Questa è la conoscenza incrementale. È un patrimonio che genera una qualità importante nell’assistenza. È un errore perdere questo patrimonio».

Anche a Palestrina, 40 km dalla Capitale, la riforma rischia di avere un impatto negativo, anche per l’orografia e la viabilità del territorio circostante. «Palestrina è una cittadina di circa 20 mila abitanti o poco più – spiega Walter Marrocco, medico di medicina generale del territorio e responsabile scientifico FIMMG -. Ma la cittadina è dislocata su un territorio abbastanza vasto come molti comuni in Italia, caratteristiche che richiedono già adesso a molti cittadini di fare diversi chilometri con la propria automobile per andare dal proprio medico. Dobbiamo fare in modo che i servizi si avvicinino al territorio e non che vengano concentrati perdendo la capillarità».

L’impatto della riforma delle Case di Comunità potrebbe essere molto importante su questo territorio: «Attualmente alcuni dei nostri distretti sanitari sono dotati di case della salute che ovviamente non sono presenti in tutti i comuni: Palestrina non ce l’ha, ora è a Zagarolo che dista 5 chilometri. Ma ci sono anche comuni più piccoli che distano 15-20 chilometri da Zagarolo e si trovano in zone montuose. Concentrare tutti i servizi in queste strutture rischia di togliere la prossimità che invece è il punto di forza del rapporto medico-paziente».

Sud. Iannicelli (Campania) e Calabrese (Puglia): «Non minare la libera scelta. Popolosità dei territori porterà problemi»

Anche al Sud la riforma contenuta nel PNRR preoccupa non poco i medici di famiglia. Per FIMMG Campania la partita si giocherà sul continuare a garantire una medicina di prossimità anche in presenza delle Case della Salute che, proprio sul territorio campano, a causa della disomogeneità demografica, potrebbero comportare più criticità di quanto già “messo in bilancio”.

Una funzione positiva potrebbe tuttavia essere quella relativa alle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali). «Il medico di famiglia è una figura di riferimento non solo sanitaria, ma anche sociale, spesso una guida, e la libera scelta del proprio medico di famiglia resta uno dei criteri fondanti della medicina territoriale – afferma Federico Iannicelli, segretario regionale FIMMG Campania -. Tuttavia oggi tale principio viene costantemente messo in discussione dal punto di vista pratico: nella stragrande maggioranza dei casi, l’enorme mole di pazienti assistiti da un medico quando questi va in pensione passa automaticamente al medico che ne prende il posto, questo perché gli altri studi sono già saturi. E la causa di questo, va ribadito, va ricercata nella mancata volontà di investire nella formazione di personale in medicina generale».

«Sull’avvento delle Case di Comunità – prosegue Iannicelli – credo che in Campania potremmo andare incontro a qualche criticità: siamo la Regione più popolosa d’Italia dopo la Lombardia, con una densità altissima, dove i Comuni confinano senza soluzione di continuità, per cui individuare presidi sanitari di questo tipo, che coprano una popolazione di 20-30mila abitanti come prevede il Recovery Plan, risulta complesso. Per contro, ci sono zone della Regione vastissime e poco popolate, come l’alto beneventano o le montagne del salernitano. Come faranno le Case di Comunità a garantire una medicina di prossimità rispettando il solo criterio demografico? È chiaro che in questi luoghi il ruolo del medico di famiglia è essenziale».

«Bisogna poi capire – continua il segretario regionale FIMMG – quali prerogative verrebbero avocate a questi presìdi, quale il ruolo degli specialisti al loro interno, e quale il ruolo della medicina generale nel veicolare i pazienti. Io vedrei queste strutture più adatte a svolgere le attività delle AFT, che in Campania sono già state costituite e grazie alle quali gli studi stanno garantendo presenza su 12 ore. Detto ciò – conclude – siamo pronti a fare barricate affinché l’introduzione delle Case della Salute non comporti la perdita del tradizionale rapporto con i nostri assistiti».

Anche per la FIMMG Puglia le Case di Comunità, al netto di forti correttivi, rischiano di minare alla base la medicina di prossimità, incidendo sui dogmi della libera scelta e dell’alleanza terapeutica. «L’alleanza terapeutica che tradizionalmente intercorre tra noi medici di famiglia e i nostri assistiti è uno dei pilastri su cui si fonda il concetto stesso di salute pubblica nel nostro Paese», afferma Nicola Calabrese, segretario FIMMG Bari.

«La verifica della corretta aderenza terapeutica, la conoscenza capillare della storia clinica di ognuno dei nostri pazienti, il consiglio sugli esami clinici da effettuare e sulle tempistiche in cui vanno effettuati, rappresentano la possibilità di intercettare ed intervenire precocemente su situazioni che, in mancanza di una buona medicina territoriale, comporterebbero importanti conseguenze dal punto di vista clinico per i pazienti e andrebbero a gravare su altri sistemi».

«Oggi si parla delle Case di Comunità come se i problemi della medicina territoriale riguardassero solo le strutture, i luoghi fisici – continua Calabrese – quando è evidente che non è così, e che le esigenze riguardano una riorganizzazione della medicina territoriale e il suo poter continuare a rispondere nel modo più efficace possibile ai nuovi bisogni di salute della popolazione, che coinvolgono soprattutto le cronicità. Se le Case di Comunità diventassero punti di riferimento per l’erogazione di questi servizi, magari come sede per le AFT, dovranno essere ben stabilite le competenze al loro interno, i margini di autonomia, ma soprattutto non dovranno significare una perdita di capillarità nell’assistenza né minare alla base il principio della libera scelta. Sarà essenziale trovare un buon punto di equilibrio».

 

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