Intervenuto al Forum Risk Management in Sanità, il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità spiega come è stato gestito il rischio coronavirus. Ippolito (Spallanzani): «Servono forte gestione centrale e una Rete nazionale malattie infettive»
L’obiettivo è quello di «costituire un laboratorio permanente di pensiero sulla sanità, perché il coronavirus ci ha insegnato tante cose: a resistere ma anche a pensare soluzioni nuove». Con queste parole Vasco Giannotti, presidente del Comitato Scientifico del Forum Risk Management in Sanità, ha descritto i principali contenuti della nuova edizione del tradizionale appuntamento con base ad Arezzo, che ha aperto i battenti oggi, 15 dicembre, nella formula digitale a cui siamo tutti ormai abituati a causa dell’emergenza sanitaria. Il primo appuntamento dell’evento promosso da Istituto Superiore di Sanità (ISS), Fondazione per l’Innovazione e la Sicurezza in Sanità e Comune di Arezzo è stato la relazione proprio di Silvio Brusaferro, presidente dell’ISS, che ha fatto il punto sulla fase pandemica da coronavirus, a cavallo fra la prima e la seconda ondata.
«Nella seconda ondata – ha spiegato Brusaferro – il nostro Paese ha dimostrato una aumentata capacità di testing a fronte di una diffusione della malattia da Sars-CoV-2 prevalentemente da asintomatici. Tutti i Paesi risultano colpiti in maniera importante e l’Italia non è più il Paese capofila per contagi. Sono lieto di essere qui oggi in un evento così intitolato perché in effetti nella gestione della pandemia abbiamo fatto risk management, ovvero abbiamo agito applicando gli schemi di valutazione di rischio, di impatto, di esito e la nostra resilienza territoriale».
«Avevamo bisogno di dati completi e di modelli che rappresentassero correttamente la realtà, di indicatori di resilienza e modi per misurare la capacità di far fronte con risorse umane e con posti letto al dilagare della pandemia – ha aggiunto il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità -. La cosa importante è che con questo tipo di indicatori si deve valutare l’andamento della curva pandemica in termini di trend, il rischio di evoluzione dell’epidemia. La cabina di regia ha predisposto dei cluster di classificazione del rischio dividendolo in molto basso, basso, moderato, alto; a ottobre la situazione si evolve verso rischio moderato, ha un picco verso la prima metà di novembre, poi si innesca la decrescita che stiamo ancora vivendo».
Il lavoro dell’Istituto Superiore di Sanità ha consentito di individuare alcuni fronti di riflessione su cui sarà importante, da adesso in poi, concentrare l’attività sia di ricerca che di policymaking. «Esiste il tema della preparazione – ha spiegato Brusaferro -. All’inizio della pandemia noi potevamo contare sulla disponibilità di mascherine che provenivano solo da alcune zone del mondo, la produzione era abbastanza concentrata e questo può rappresentare un problema. Oggi siamo preparati, ma ciò ha richiesto un certo livello di riconversione industriale. Per il futuro, visto che noi incontreremo altri patogeni nella nostra storia, dovrà essere ancora un tema».
«Secondo punto . ha continuato -, la public health: veniamo da anni in cui molto si è parlato di prevenzione, il problema è che il lavoro sulla prevenzione si vede quando essa viene meno. Nel post pandemia dovremo costruire una macchina che sia basata realmente sulla promozione della prevenzione».
«Il terzo tema è quello della centralità delle risorse umane. I professionisti della sanità sono l’anima e il cuore della risposta sanitaria. Ecco allora che dobbiamo garantirgli formazione adeguata per contrastare questo tipo di malattie e di epidemie».
Oltre alla digitalizzazione e all’investimento in comunicazione, due temi molto battuti, Silvio Brusaferro ha citato come centrale sia anche il tema della terza età: «Il coronavirus impatta su queste fasce di popolazione in maniera veramente importante. Come gestiremo l’invecchiamento negli anni a venire?».
E a proposito dei tempi a venire, il direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito, ha spiegato: «Il sistema di governo delle epidemie va ripensato e riscritto. Il modello di gestione dell’AIDS ha funzionato perché c’era un piano chiaro, trasversale; poi è successo che per motivi politici la sanità è stata tagliata e depotenziata. Le epidemie vanno gestite senza il titolo V, con una forte gestione centrale, ed è quella che oggi dobbiamo costruire. Serve una Rete nazionale contro le malattie infettive.
«Anche perché – ha aggiunto Ippolito – lo scenario che dovremo gestire da gennaio è quello di dover vaccinare anche 200mila persone al giorno. Si parla spesso di quelli che non vogliono essere vaccinati, segnalo invece che un problema saranno i medici che inizieranno a dire “i miei pazienti per primi”. Segnalo inoltre che i morti per questo virus sono prevalentemente anziani e dunque noi dobbiamo prevenire i morti, poi scenderemo a tutelare le altre categorie».
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