Lavoro e Professioni 24 Novembre 2022 16:21

Commissione albo infermieri: «La specializzazione non sia solo sulla carta»

Il presidente della commissione albo infermieri, Franco Vallicella: «Oggi e in futuro necessaria più assistenza infermieristica». Laura Barbotto, presidente commissione albo infermieri pediatrici: «Fondamentale il bisogno di assistenza nell’età evolutiva»

Nel corso del 17° Forum Risk Management, la FNOPI (Federazione Nazionale degli Ordini della Professione Infermieristica) ha ribadito che la valorizzazione degli infermieri passa necessariamente per l’introduzione della relativa specializzazione. Questo perché, come ha ricordato la presidente, Barbara Mangiacavalli, «le necessità dei nostri assistiti sono molto varie e rischiamo che i tre anni di formazione possano essere carenti». Sanità Informazione ha chiesto a Franco Vallicella, presidente commissione albo infermieri, e a Laura Barbotto, presidente commissione albo infermieri pediatrici, cosa ne pensano.

Vallicella: «Specializzazione infermieri non sia solo sulla carta»

«Innanzitutto, c’è da dire che gli Stati Generali sono un grande esercizio di democrazia. Abbiamo deciso di metterci in gioco e i risultati li mettiamo a disposizione. Uno di questi è che gli infermieri vogliono che questa specializzazione non sia più solo sulla carta ma che sia agita anche nella realtà. E questo non perché lo chiedono gli infermieri ma perché c’è questa necessità. E se fotografiamo ciò che succede nelle unità operative, già in parte riconosciamo delle aree, degli ambiti in cui è indiscutibile che serva una competenza, una “specializzazione” specifica. Così Franco Vallicella, presidente commissione albo infermieri, che aggiunge: «Chiediamo che questo aspetto venga messo a sistema e che, oltre a far esercitare agli infermieri queste competenze supplementari, gli vengano riconosciute. Tutto ciò, a vantaggio di chi ne ha effettivamente bisogno e per realizzare, come ha detto la nostra presidente, quella differenziazione che è già in essere e che potrebbe avere come effetto che i giovani si sentiranno più attratti da questa professione, in quanto vedranno la possibilità di uno sviluppo lavorativo».

Con il PNRR dovrebbero arrivare le case e gli ospedali di comunità. È un’occasione, per gli infermieri? La risposta che le case di comunità e il PNRR danno ai problemi di salute è «molto importante» e «si caratterizza nel fatto che oggi, e in futuro, serve più assistenza infermieristica sul territorio. Questo – spiega ancora Vallicella – è il dato su cui poi costruire l’organizzazione che è stata indicata. Il problema vero, però, è che servono gli operatori e gli infermieri. E questo è un grosso punto di domanda, perché già esiste una carenza importante negli ospedali. E il pensiero di “caricare” ulteriore personale sul territorio, come è giusto che sia affinché questi progetti possano svilupparsi, si scontra con il fatto che non se ne trova. Rispetto dunque a quel che dicevamo prima, per quanto riguarda le specializzazioni, dobbiamo fare in modo che questa diventi effettivamente una professione in cui i giovani possano vedere un percorso di carriera. Questo è il punto fondamentale. Per oggi e per domani c’è bisogno di più assistenza e questa la forniscono gli infermieri. Se questi non ci sono, però, diventa un problema. Non solo per gli infermieri ma anche per chi ha bisogno di assistenza».

Ma la valorizzazione dell’infermiere, e quindi anche lo sprone per i giovani ad intraprendere questa carriera, passa soltanto attraverso le specializzazioni o c’è altro? Vallicella risponde che «specializzazione vuol dire riconoscere che c’è una competenza specifica e che va valorizzata. Ma non è solo questo. È evidente che buona parte dell’assistenza territoriale è in mano agli infermieri. Ciò deve voler dire modulare l’organizzazione sulle necessità del paziente e sulla valorizzazione dell’attività degli infermieri. Ma sarebbe tutto più semplice se partissimo da quelle che sono effettivamente le esigenze. Ormai sappiamo benissimo – continua – quali sono l’evoluzione demografica e i bisogni dei pazienti con patologie croniche. Ma di cosa hanno bisogno, questi pazienti? Hanno bisogno che la terapia indicata sia efficace e che venga controllata. E chi lo fa? L’infermiere. La questione è, banalmente, questa, ma servono i numeri. E ne servono tanti, perché sappiamo che, fortunatamente la vita media è aumentata, ma questo significa maggiori patologie croniche e polipatologie. E, dunque, serve maggiore assistenza», conclude.

Barbotto: «Bisogno di assistenza nell’età evolutiva è fondamentale»

«Commentare questo momento è estremamente importante. È un punto di arrivo ma anche un punto di partenza per quello che sarà l’evoluzione dell’infermieristica generale ma anche dell’infermieristica pediatrica. Quello che ha detto la presidente lo stiamo condividendo a livello di federazione nazionale, è un ragionamento molto profondo e molto aperto nell’ambito di tutta la professione, parlo soprattutto di tutta la professione pediatrica». Così Laura Barbotto, presidente commissione albo infermieri pediatrici. Gli infermieri pediatrici in Italia sono circa 9.500: «Non sono tanti – conferma Barbotto –. Noi speriamo che possano essere di più in futuro, sono distribuiti su tutto il territorio nazionale ma c’è una differenza soprattutto nelle regioni dove sono un po’ più presenti quelli che hanno all’interno della regione un corso di laurea in infermieristica pediatrica, ovviamente. E sono otto i corsi che ci sono in Italia con nove sedi. Non possiamo ancora valutare se saranno di più, se i numeri dei fabbisogni potranno essere aumentati».

La presidente della commissione albo infermieri pediatrici conferma che «il bisogno di assistenza nell’età evolutiva è fondamentale. Non dimentichiamo che “il bambino non è un piccolo adulto”, ha una specificità particolare sugli aspetti assistenziali, del nucleo familiare. Noi ci dobbiamo occupare di tutto ciò che gira attorno al bambino perché è il suo mondo. Abbiamo bisogno di portare queste realtà che non sono solo assistenziali ma anche relazionali: parlare con un bambino di un anno piuttosto che con un ragazzo di 17 anni è molto diverso. Noi possiamo lavorare con neonati, bambini, ragazzi, fino al diciottesimo anno di età. Dopodiché – aggiunge – sorge un altro problema: il passaggio del ragazzo all’età adulta. Un momento delicato, impegnativo, un passaggio dovuto ma che deve essere guidato. Gli stessi ragazzi esprimono spesso questa volontà ed è un’opportunità che noi dobbiamo cogliere. Ci auguriamo che, con l’evoluzione delle professioni infermieristiche, soprattutto la formazione pediatrica possa passare ad un livello specialistico. È una tappa non solo da prendere in considerazione ma che va realizzata perché ne stiamo parlando da tanto tempo e c’è bisogno di concretezza. Siamo pronti ad affrontare questa situazione: non è un problema ma un’opportunità», conclude Barbotto.

 

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