Le Unità Speciali di Continuità Assistenziale Riabilitativa attivate nella USL Toscana Centro andranno dai pazienti per accoglierli nel percorso riabilitativo. «In questo modo gli ospedali dimetteranno con più facilità» spiega il fisioterapista Fabio Bracciantini
Per fronteggiare l’emergenza Covid-19 la sanità italiana sta compiendo quello che probabilmente è il più grande sforzo dal dopoguerra a oggi. Il Sars-Cov-2, se da un lato ha messo in luce la straordinaria abnegazione di medici e professionisti sanitari, dall’altro ha evidenziato l’assoluta necessità di ripensare e potenziare la sanità del territorio anche guardando alle buone pratiche che stanno nascendo in alcune aree del Paese.
Come in Toscana, dove nell’USL Toscana Centro (che comprende le ex ASL di Pistoia, Prato, Firenze ed Empoli) i fisioterapisti vestiranno le ormai arcinote tute di protezione e andranno a casa delle persone Covid positive o di quelle in quarantena per interventi riabilitativi. Lo faranno nelle USCAR, Unità Speciali di Continuità Assistenziale Riabilitativa, da non confondere con le omonime attivate nel Lazio ma con tutt’altro compito.
«Il Dipartimento delle Professioni Tecnico-Sanitarie ha pensato di creare le USCAR perché la Toscana, regione rossa da inizio novembre, ha riconvertito il 90% dei letti destinati alla riabilitazione per l’emergenza Covid: quindi tutti quei pazienti Covid che dopo la degenza andavano nelle strutture riabilitative ora vengono rimandati direttamente a casa. Immaginiamo un paziente anziano con fratture al femore Covid positivo: lasciarlo a letto significa condannarlo a morte», spiega a Sanità Informazione Fabio Bracciantini, Presidente della Commissione d’Albo Interprovinciale dei Fisioterapisti di Firenze e Responsabile nazionale AIFI per le politiche del SSN.
Le USCAR verranno attivate dall’ACOT – Agenzia di Continuità Ospedale Territorio: gli operatori segnaleranno ai team fisioterapici i casi in dimissione e che necessitano di percorso riabilitativo. Il percorso sarà attivato a seguito della valutazione fisioterapica e condiviso anche con il medico di famiglia. Sono già partite a Firenze centro, e in altre Zone-Distretto si pensa di partire da metà dicembre.
Ogni USCAR sarà composta da due persone: una entrerà a casa del paziente, l’altra sarà fuori ad aiutare il collega nella vestizione/svestizione. L’idea di partenza era di una USCAR per ogni Zona Distretto (sono otto quelle che compongono la USL) ma per il momento il servizio non partirà in tutte le zone perché in alcune ci sono strutture dedicate con letti di riabilitazione per il Covid. Si tratta del primo progetto di questo tipo in Italia, una piccola rivoluzione se si pensa che sinora solo medici e infermieri sono andati a casa dei pazienti Covid positivi.
«Le USCAR rispetto alle USCA classiche fanno un tipo di intervento diverso: le USCA lavorano sull’emergenza e sul bisogno imminente, le USCA Riabilitative intervengono su attività programmata, una cosa più gestibile e più governabile – continua ancora Bracciantini -. Nel momento in cui le USCAR saranno operative su tutto il territorio della USL, gli ospedali dimetteranno con più facilità. Gli ospedali ora tendono in taluni casi a tenersi i pazienti o rischiano di mandarli a casa senza nessun tipo di servizio».
Le USCAR in realtà nascono all’interno di una operazione nata prima dell’emergenza Covid, quella del fisioterapista di comunità che ha il compito di supportare la Medicina Generale: si tratta di un servizio rivolto nello specifico, in questa fase pandemica, a pazienti adulti e anziani in condizioni di fragilità e cronicità, nei quali si evidenzi una riduzione significativa delle autonomie funzionali, un aumento del carico assistenziale o la necessità di addestramento per il caregiver, a pazienti per i quali si evidenzi un rischio di cadute e alle situazioni nelle quali sia necessaria una valutazione funzionale per ausili/ortesi per la mobilità, i trasferimenti, l’igiene o una valutazione dell’ambiente domestico.
Il Covid è andato un po’ a stravolgere l’impianto complessivo della sperimentazione, che però resta attiva anche per evitare che una fetta di popolazione possa rimanere senza risposta. «C’è tutta la parte della gestione della cronicità, dell’handicap o della disabilità grave a cui non sempre si riesce a dare risposta proprio perché tutti impegnati sulla questione del Covid – spiega Bracciantini -. Oggi tutta la riabilitazione è a supporto dei processi di dimissione dei pazienti post Covid. Con il rischio di un aggravamento laddove c’è già una condizione di fragilità o una condizione di disabilità medio-grave e quindi la necessità di un ricovero, cosa assolutamente da evitare in questo momento».
Così funziona la fisioterapia di comunità: il MMG compila una scheda di segnalazione del paziente. A questo punto interviene il fisioterapista di comunità che attraverso un massimo di tre accessi (in ambulatorio o a domicilio) formula la sua analisi: chiarisce se il paziente ha bisogno di visita specialistica, oppure se c’è da cambiare la carrozzina o se c’è necessità di attività motoria o ginnastica di gruppo, ecc. Il fisioterapista invia una scheda di restituzione al MMG. Nessun ticket viene pagato.
«Il fisioterapista di comunità non abbatte direttamente le liste di attesa, ma fa sì che ci sia appropriatezza ai servizi di riabilitazione e quindi di fatto sfoltisce l’attesa. In più il sistema è sostenibile perché il fisioterapista di comunità è a isorisorse: si utilizzano i fisioterapisti all’interno delle strutture. Vengono impegnati 12 ore a settimana e lavorano su attività programmata. Questo dà la possibilità di governare bene tutta l’attività», conclude Bracciantini.
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