«Nessuno deve poter pensare che i dati possono essere in qualche modo drogati», spiega il presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, Roberto Carlo Rossi. La soluzione è stata proposta da Consulcesi durante l’evento milanese “Responsabilità professionale e arbitrato della salute”
Una diagnosi nefasta, una comunicazione inesatta o delle naturali complicanze, un qualsiasi errore, anche apparente, rischia di portare medici e pazienti nell’aula di un tribunale, aprendo un contenzioso. Finire davanti ad un giudice è diventando un vero e proprio incubo per la categoria, con risvolti negativi anche per i cittadini, come ad esempio la cosiddetta medicina difensiva che porta il medico ad essere più timoroso nello svolgere la sua professione e a prescrivere spesso esami non necessari. Se ne è parlato a Milano durante l’evento “Responsabilità professionale e arbitrato della salute”, dove il gruppo Consulcesi, network legale leader in ambito sanitario ha lanciato la soluzione conciliativa anche denominata “Arbitrato della Salute”. A partecipare anche il presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, Roberto Carlo Rossi.
A Milano si registra una causa al giorno per i camici bianchi, quanto influisce questo sul lavoro dei medici?
«Il contenzioso medico-legale in Lombardia non è in aumento, ma va detto che moltissime di queste cause vengono abbandonate o finiscono proprio in nulla, nel penale siamo al 99% di chiusure. Però pesano come una spada di Damocle sulla testa dei colleghi. La legge Gelli è stato un primo passo che ha lasciato però dei problemi aperti. Qualsiasi iniziativa che tenda in qualche modo a risolvere queste problema è assolutamente bene accetta».
«Il lavoro del medico anche se è attentissimo e bravissimo, – continua il presidente Omceo Milano – è gravato da una certa percentuale di insuccessi, questo è inevitabile. Innanzitutto, bisogna far capire quando c’è l’errore e quanto invece si tratta di complicanze che inevitabilmente arrivano. Poi comunque per quella percentuale di errore, che pur essendo piccola esiste, bisogna trovare delle strade che risolvano i contenziosi in maniera soddisfacente per tutti. Pensare di far gravare questo sui medici è una follia, si traduce inevitabilmente in una mancanza di cure, la cosiddetta medicina difensiva negativa o di astensione. Una pratica estremamente pericolosa, il medico può pensare: “siccome è una cosa molto complessa, molto complicata io non ti tocco neanche, perché ho paura”».
«L’istituto della mediazione è ancora troppo poco percorso. Ci sono le ATP, la 696 bis che è istituita obbligatoriamente dalla Legge Gelli e sono tutte parti del contenzioso che è evitano di andare poi in causa. Quindi un’altra forma che in qualche modo sposta il contenzioso extra-giudiziale secondo me è sempre ben accetta, per entrambe le parti».
Registrare la soddisfazione dei pazienti è uno strumento utile?
«Se è fatto bene sì. Per fatto bene intendo due cose. In primis ci deve essere una volontarietà da tutte le parti, sia del paziente sia del medico di mettersi in gioco. Poi deve esserci la certezza e la certificazione di quello che viene fatto. Nessuno deve poter pensare che i dati possono essere in qualche modo drogati. Certo che se il paziente si dichiara soddisfatto della prestazione che ha avuto, a quel punto poi è difficile pensare che possa instaurare un contenzioso. Dunque, nel momento in cui tutti sono responsabili di quello che fanno e si mettono in gioco, questo diventerebbe un altro modo per raffreddare i contenziosi».