Sono scesi in piazza nelle principali città italiane per chiedere di essere stabilizzati. Valeria Contarino ARSI: «Due gli interventi auspicati: la modifica della legge 205, affinché si possano usare i fondi per le assunzioni dei ricercatori a tempo indeterminato e che le Regioni si facciano carico delle dotazioni organiche necessarie per dare un contratto stabile al personale»
Sono scesi in piazza in molte città italiane per accendere i riflettori sulla precarietà che li accompagna da decenni. Sono i ricercatori sanitari e i collaboratori alla ricerca di IRCCS e IZS che chiedono di essere stabilizzati con contratti a tempo indeterminato dopo decenni di lavoro precario e di essere ascoltati in audizione presso la Commissione XII – Affari Sociali della Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame del disegno di legge per il riordino della disciplina degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico affinché le loro istanze possano trovare una soluzione favorevole.
Prevista la ricerca, non il personale. Un paradosso da risolvere
A farsi portavoce di un movimento che ha coinvolto ricercatori da nord a sud, da Trieste fino a Messina passando per Milano, Roma, Napoli, Bari con manifestazioni in piazza anche folcloristiche è Valeria Contarino del consiglio direttivo di ARSI (Associazione Ricercatori Sanitari italiani): «È inammissibile che in questo Paese i ricercatori lavorino per sviluppare diagnosi e terapie innovative per malattie gravissime, rare, invalidanti, ed essere da sempre precari. Quest’anno nella fase di discussione del PNRS (programma nazionale della ricerca sanitaria, ndr) è previsto il riordino degli IRCCS e degli istituti Zooprofilattici Sperimentali e nel DL di riforma chiediamo venga risolto uno dei problemi storici del settore: ovvero la definizione delle dotazioni organiche della ricerca che ad oggi in questi istituti non sono previsti».
Un paradosso; eppure, in trent’anni nessuno ha cercato di superare questa criticità, come evidenzia la rappresentante di ARSI: «Negli IRCCS l’assistenza compete alle Regioni, mentre la ricerca è in capo al Ministero della Salute, i due enti non si sono mai messi d’accordo su chi debba gestire la dotazione organica della ricerca che risulta quindi del tutto assente nel programma. Noi chiediamo che siano le Regioni a farsi carico di questo aspetto come accade per l’assistenza, mentre il Ministero dovrebbe mettere a disposizione i fondi per regolarizzare le posizioni dei ricercatori sanitari».
Al riguardo la legge 205 del 2017 ha stabilito un fondo da 90 milioni di euro che oggi sono utilizzati per contratti a tempo determinato anche per professionalità di lungo corso. «Alcuni di noi andranno in pensione senza mai aver avuto una stabilizzazione – evidenzia Convertino -. È indubbio che la situazione debba essere sanata, oggi più che mai dal momento che a partire dal 2021 i fondi ci sono, manca solo la volontà politica di farlo».
ARSI chiama in causa il Ministero della Salute che nel 2020 ha creato un contratto piramide con lo scopo di dare maggiore stabilità proprio ai ricercatori. Ma l’obiettivo non ha dato i risultati sperati: «Il nostro know out è unico al mondo, ma il rischio di perdere i ricercatori perché attratti da contratti stabili come dirigente biologo in uno studio di analisi è a volte troppo alto», ammette la referente di ARSI sottolineando come molti ricercatori siano rimasti ancorati ad un sistema precario perché sostenuti dalla passione per un lavoro gratificante. «Il dato inquietante è che nel momento in cui il Ministero ha pensato di aver trovato la chiave di svolta offrendo un contratto a piramide, a tempo determinato di cinque anni più altri cinque, il sistema ha registrato un abbandono del 25% dei ricercatori; quindi, l’idea di stabilizzazione pensata dal governo si è rivelata una catastrofe e deve essere sistemata con estrema urgenza».
Due gli interventi auspicati da ARSI: la modifica della legge 205, affinché si possano usare i fondi per le assunzioni dei ricercatori a tempo indeterminato e che le Regioni si facciano carico delle dotazioni organiche necessarie per dare un contratto stabile al personale. «Se fino a due anni fa l’investimento economico poteva spaventare ed essere un deterrente, oggi questa giustificazione non è più ammissibile per le Regioni che anche per questo motivo oggi dovrebbero farsi promotrici della nostra battaglia. La ricerca deve essere il fiore all’occhiello del nostro Paese».
A farsi carico della battaglia dei ricercatori sanitari in Regione Lombardia è Gregorio Mammì del Movimento 5 stelle che, lo scorso 22 marzo, ha presentato in consiglio regionale una mozione urgente. «Il 100% del personale di ricerca ha contratti a termine, motivo per cui anche i “cervelli in fuga” non rientrano in Italia – sottolinea Mammì -. La serietà di un paese si misura anche dalla stabilità che riesce a dare a questi settori fondamentali, tanto più che la situazione lavorativa dei ricercatori non è in linea con la Direttiva Europea 1999/70 che definisce il contratto a tempo indeterminato come contratto di norma tra lavoratore e datore di lavoro. Solo in Lombardia questi lavoratori hanno accumulato più di 4000 anni di precariato. Se le istituzioni italiane non sapranno dare le giuste risposte siamo pronti a sostenerli in altre sedi politiche e giuridiche».
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