Al Convegno “Quale futuro per contratti e pensioni” organizzato dalla Confederazione Sindacale Medici e Dirigenti si è parlato molto di come incrementare le parti variabili del salario: «È necessario abrogare il comma 2 articolo 23 della Legge Madia: non ha più alcuna utilità, non ha generato alcun risparmio perché di fatto provoca distorsioni applicative in tutti i territori» sottolinea il segretario aggiunto Cosmed Aldo Grasselli
Per i dirigenti medici un rinnovo contrattuale, quello relativo al triennio 2016-2018, si sta per chiudere. La firma definitiva, infatti, è attesa prima di Natale. Appena chiusa una trattativa, è tempo però di ricominciarne un’altra. Infatti già si comincia a parlare del contratto 2019-2021. I sindacati medici si sono confrontati in un convegno organizzato da Cosmed, la Confederazione Sindacale Medici e Dirigenti, dal titolo “Quale futuro per contratti e pensioni. Contrattualistica e previdenza alla luce della legge di bilancio”. Ospite d’onore il Presidente Aran Antonio Naddeo ma erano presenti, tra gli altri, anche Alessandro Vergallo (AAROI EMAC) e Aldo Grasselli (FVM), Elisa Petrone (FEDIRETS) oltre al segretario Cosmed Giorgio Cavallero.
Punto di partenza sono i soldi stanziati in legge di Bilancio per i rinnovi dei contratti pubblici. Il finanziamento del rinnovo contrattuale per il 2019-2021 del pubblico impiego viene implementato di 225 milioni per il 2020 e di 1,4 miliardi per il 2021. Tale incremento consentirebbe un aumento contrattuale (vedi tabella allegata) pari al 1,30% per il 2019, al 1,92% per il 2020 e del 3,49% per il 2021.
Ma più del dato economico, a preoccupare i sindacati sono le norme, in particolare l’articolo 23 comma 2 della Legge Madia, che allo stato attuale non permette di premiare il merito aumentando il salario accessorio stabilendo un tetto ai fondi accessori. «Questo comma crea molti vincoli all’autonomia delle regioni e alla possibilità di alcune regioni di reclutare il personale e di pagarlo in modo differenziato» sottolinea a Sanità Informazione Aldo Grasselli, Segretario aggiunto Cosmed e presidente FVM che aggiunge: «Chiediamo l’abrogazione di una norma che non ha più alcuna utilità e non ha generato alcun risparmio».
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Presidente, vi soddisfano le risorse stanziate in legge di Bilancio per il rinnovo dei contratti?
«Più che dal punto di vista delle grandi entità della massa salariale e delle percentuali su cui si applica, sarebbe ora di chiarire molti aspetti normativi che hanno provocato grandi complicazioni nella contrattazione. Si sta discutendo di un punto di partenza cruciale che è quello dell’articolo 23 comma 2 della famosa Legge Madia che definisce un tetto assolutamente improprio a tutti i fondi accessori: in buona sostanza, se vale ancora quel principio, anche questo 3.48% puó essere applicato soltanto alle voci fisse dello stipendio. Da più parti si continua a dire che è necessario incrementare le parti di salario accessorio, cioè le parti variabili dello stipendio proprio per incentivare la professionalità, la performance e la qualità del lavoro. Sinceramente non riusciamo a capire come lo Stato possa essere così schizofrenico nelle sue azioni legislative. Se da una parte richiede, spinge l’amministrazione ad avere una particolare attenzione al salario accessorio e quindi ad incentivare la performance, dare un giudizio sulla qualità del lavoro e quindi premiare chi lavora meglio, dall’altra parte si hanno degli aumenti salariali del 3,48%, grosso modo l’equivalente dell’inflazione, in sostanza non un incremento stipendiale, quindi i nuovi contratti sono stanzialmente a bocce ferme. Quello che noi ci domandiamo è perché si continui a mantenere in vita questo articolo 23 comma 2 della legge Madia che è esattamente in contrasto con l’ipotesi di aumentare le parti variabili del salario. Quindi bisogna incrementare le quote accessorie del salario per premiare le performance e la qualità e il merito nell’attività lavorativa. C’è necessità che il governo stabilisca una sua strategia anche in termini di efficienza della contrattazione pubblica. Fare i contratti non significa elargire qualche soldino in campagna elettorale ma vuol dire anche regolare i contratti e mettere in condizione i lavoratori di avere dei criteri sensati, efficienti, moderni e soprattutto di avere delle regole molto chiare in un contesto di federalismo sanitario. Con le regioni che spingono ciascuna ad avere la propria massima autonomia se a livello centrale non vengono chiariti i paletti entro cui il campo di gioco si definisce, si creeranno ancora di più le premesse per la diaspora dei sistemi sanitari regionali».
Voi chiedete quindi l’abrogazione del comma 2 dell’articolo 23 della Legge Madia?
«Si, deve essere semplicemente abrogato, non ha più alcuna utilità, non ha generato alcun risparmio perché di fatto provoca distorsioni applicative in tutti i territori. In particolare poi porta molti vincoli all’autonomia delle regioni e alla possibilità di alcune regioni di reclutare il personale e di pagarlo in modo differenziato laddove ci siano delle aree marginali più difficili da coprire e dove quindi è necessario immaginare che i medici che vanno a lavorare nei distretti meno ambiti abbiano in qualche modo un ristoro e questo deve essere considerato plausibile e se questo comma rimane non si può fare».