Giuseppe Imbalzano, già direttore sanitario di numerose aziende sanitarie in Lombardia spiega perché il virus a distanza di due anni fa ancora paura e quali accorgimenti dovrebbero essere adottati per vincere la battaglia
È stato direttore Sanitario all’Asl di Bergamo, Milano1 e Milano2, Lodi e all’Ussl Melegnano, Giuseppe Imbalzano, oggi in pensione, osserva e monitora la situazione Covid, confronta dati, riproduce tabelle e non si rassegna ad una gestione che considera fallimentare.
«La mortalità per Covid estremamente elevata, in Italia ha superato i 160 mila decessi in questi 30 mesi. Secondo me molto mal contati. Ai decessi in costanza di malattia si sommano i deceduti per patologie aggravate dal covid e dalle conseguenze dello stesso».
«Dando uno sguardo ai casi registrati ed effettivi nelle regioni italiane fino a dicembre 2021, si pone qualche perplessità circa il rapporto tra ricoverati e casi attivi di Covid in alcune regioni. Mentre la media nazionale è 0,0077, l’Emilia-Romagna ha una percentuale di ricoveri dello 0,0201, la Campania di 0,0043, il Lazio 0,0045, la Sicilia 0,01. Come appare evidente ci sono differenze importanti. È molto improbabile che i ricoveri siano dovuti ad un maggior numero di non vaccinati, considerato che queste sono Regioni in cui le attività di vaccinazione sono state svolte con attenzione e rigore e quindi i casi possibili in Emilia-Romagna appaiono essere un multiplo di quelli registrati. E così per altre Regioni italiane. Alcuni colleghi ritengono che i casi attivi siano sino al triplo di quelli identificati. Io credo che possiamo immaginare che siano circa il doppio».
«No, sono le normali attività quotidiane e la gestione inadatta nella separazione tra positivi e non infetti. La gestione della scuola, negli ospedali e a domicilio. Troppi clinici, che sanno gestire ottimamente farmaci e assistenza al malato, hanno assunto un ruolo di gestori della pandemia con conseguenti indicazioni inadeguate, e molti politici hanno perso di vista due elementi fondamentali: la sicurezza dei cittadini e dei lavoratori e le leggi sulla sicurezza e prevenzione delle malattie infettive (art. 260 norme diffusione malattie infettive)».
«Le rispondo con una domanda “Si può convivere con un assassino?”. Questo è quanto di più inatteso potessimo supporre dopo due anni e mezzo di epidemia, tanto diffusa quanto devastante». E in UK e nelle altre Nazioni dove è stato adottato non ha portato a questo risultato. E la presenza di un numero elevato di decessi, e di varianti, la liberalizzazione della diffusione infettiva dimostra che non è la strada giusta».
«Era indispensabile separare nettamente le attività ospedaliere e territoriali e gestire diversamente i malati a domicilio evitando la diffusione familiare (il 60% dei casi si sviluppa in famiglia). Ha avuto un suo peso anche una inadeguata comunicazione e informazione ai cittadini che non ha consentito di acquisire la basi minime per poter gestire in sicurezza questa epidemia».
«Era necessario fornire strumenti informativi e protezioni adeguate alle famiglie per ridurre la diffusione casalinga del virus. Apportare una radicale modifica nella identificazione dei casi di infezione che viene “inseguita e non preceduta”. Attuare azioni efficaci di limitazione della diffusione e premi a chi era in grado di abbattere la diffusione negli ambienti sociali (amministratori regionali e locali, scuole e comunità) o di lavoro (datori di lavoro e forze sociali). Non si deve pagare solo il danno, ma premiare i risultati positivi che si ottengono. Le criticità della diffusione infettiva in ambienti a rischio come le strutture sanitarie devono cessare con comportamenti e protocolli rigorosi, corretti e privi di rischi per il personale. Le leggi sulla sicurezza del lavoro non vengono applicate e nessuno sorveglia per evitare che accada, in particolare i direttori stessi delle Aziende. Il problema è il virus e non la mascherina, che anzi dovrebbe essere adottata anche regolarmente d’inverno, quando sarà scomparso il Covid, per abbattere la diffusione influenzale. Ripristino immediato della campagna vaccinale con il coinvolgimento pieno dei medici di famiglia. Ricordando che la vaccinazione, da sola, non è sufficiente per evitare la diffusione infettiva. Oltretutto con i limiti di efficacia temporale che ha dimostrato».
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