Lavoro e Professioni 9 Marzo 2020 19:55

Coronavirus e carceri in rivolta, la vita dei medici penitenziari: «Paghe basse e personale allo stremo»

Il caso di Pavia: medici in libera professione sottopagati danno le dimissioni, il bando successivo viene disertato, si opta per camici bianchi già in forza all’ASST

di Federica Bosco
Coronavirus e carceri in rivolta, la vita dei medici penitenziari: «Paghe basse e personale allo stremo»

Le carceri in rivolta sono l’ultimo effetto del Coronavirus. San Vittore, Opera, Foggia, Modena, Poggioreale, Salerno, Frosinone e Pavia sono alcuni degli istituti penitenziari dove i detenuti impossibilitati ad incontrare i famigliari per le restrizioni dettate dal governo, hanno reagito in maniera violenta. «Quella che doveva essere una misura per salvaguardare la salute dei detenuti, perché il pericolo di contagio arriva da fuori, è diventata invece una bomba ad orologeria – ammette Danilo Mazzacane, segretario regionale Cisl Medici Lombardia – spalleggiati all’esterno dai famigliari, alcuni hanno tentato la fuga, altri hanno distrutto e rese inutilizzabili alcune celle, mettendo a rischio la propria incolumità e quella degli operatori sanitari e degli agenti penitenziari».

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In tema di sicurezza è stata adottata una normativa nelle carceri che prevede per chiunque arrivi da fuori che siano medici, operatori sanitari, infermieri, ma anche agenti di polizia penitenziaria, la sottoscrizione di un documento anamnestico nel quale si dichiara di non avere frequentato luoghi di possibile contagio, di essere asintomatici, mentre prima di accedere all’interno viene misurata la temperatura corporea. «Questo triage messo a punto dall’ASST pavese è sicuramente una risposta valida per limitare il rischio di contagio, anche più efficace di quanto adottato negli ambulatori esterni, quindi tutto è stato fatto nel miglior modo possibile compresa la dotazione delle mascherine quando necessario».

«Il vero problema che emerge, ora più che mai, nelle carceri – sottolinea Mazzacane – è che non esiste una retribuzione uniforme per i medici che esercitano in libera professione nelle carceri della Lombardia, ma esiste una discrepanza da un carcere ad un altro e questo genera malumore. Non solo, in questo modo sempre meno personale medico è disponibile ad affrontare turni massacranti e pieni di responsabilità. Il caso di Pavia è emblematico – conferma – recentemente diversi medici in libera professione con una retribuzione oraria di 27 euro hanno dato le dimissioni dal carcere che oggi si trova con un organico insufficiente per coprire i turni. Per fronteggiare l’emergenza è stato indetto un bando sempre a 27 euro l’ora che è andato deserto, alla fine l’azienda per cercare di sopperire al problema non avendo altre soluzioni, ha fatto un bando interno rivolto ai medici dipendenti, attenendosi strettamente alle modalità contrattuali della dirigenza medica, che prevede una retribuzione di 60 euro lordi orari. Questo ovviamente non va che ad alimentare i malumori tra i medici. Sarebbe pertanto auspicabile un coordinamento regionale che decida una retribuzione che sia uguale per tutti gli istituti penitenziari della Lombardia in modo da farli lavorare nel miglior modo possibile, in serenità e in sicurezza per quanto riguarda l’emergenza attuale».

 

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