Lavoro e Professioni 14 Aprile 2020 17:15

Coronavirus, l’avvocato Hazan: «Serve indennizzo per medici contagiati». E sulla limitazione della responsabilità: «Si è fatta confusione»

«Si è fatta confusione sugli emendamenti che limitavano la responsabilità professionale, ma la partita è ancora aperta». E sugli indennizzi a tutte le vittime del Covid-19: «Difficile ipotizzare un fondo anche per i pazienti»

Coronavirus, l’avvocato Hazan: «Serve indennizzo per medici contagiati». E sulla limitazione della responsabilità: «Si è fatta confusione»

Un fondo di solidarietà per indennizzare gli operatori sanitari che hanno contratto il Coronavirus nel corso del loro lavoro. È un’eventualità che, secondo l’avvocato Maurizio Hazan, tra i principali esperti italiani di responsabilità professionale in ambito sanitario, andrebbe realizzata anche in vista della quantità di casi registrati, tanti ma non così numerosi da rendere impraticabile la strada. Discorso diverso, invece, per i pazienti: in questo caso i numeri sono molto maggiori e le situazioni molto più difficili da analizzare. E sugli emendamenti che volevano alleggerire la responsabilità professionale di operatori sanitari e strutture in questo momento di emergenza: «È stata fatta confusione, la colpa grave sarebbe rimasta».

LEGGI ANCHE: DALL’INDENNITA DI CORONAVIRUS ALLA LIMITAZIONE DELLA RESPONSABILITA DELLE STRUTTURE: POLEMICA SUGLI EMENDAMENTI AL CURA ITALIA

Avvocato Hazan, qual è la situazione attuale dopo la discussione che si è fatta sugli emendamenti che riguardavano la responsabilità professionale dei singoli operatori sanitari e delle strutture?

«Alcuni sindacati medici hanno preso una posizione abbastanza assurda. C’è stata confusione sui vari emendamenti fatti. Alcuni hanno messo insieme una responsabilità datoriale con una responsabilità verso terzi, mentre l’emendamento che aveva ricevuto consenso bipartisan prima dell’alzata di scudi dei sindacati riguardava solo la responsabilità verso terzi, quindi erano escluse quelle datoriali. È stata fatta di tutta l’erba un fascio e i sindacati hanno detto che non era possibile una deresponsabilizzazione a tutela dei medici che, allo stesso tempo, li privasse della possibilità di agire nei confronti delle strutture, o comunque del responsabile della loro organizzazione di lavoro, in caso di contagio nello svolgimento della loro attività. E questo soprattutto nell’ipotesi in cui lavorassero in assenza dei dispositivi di protezione. Questo c’era solo in alcuni emendamenti, poi ritirati o cambiati. Su questo piano c’è stato un blocco incomprensibile. Ragionevolmente, si doveva andare tutti compatti su una strada di limitazione della responsabilità per colpa grave, tanto per i medici quanto per le strutture verso terzi».

La Fondazione Italia in Salute ha chiesto al Premier Conte chi risarcirà i 12mila medici contagiati e una nuova norma per tutelare gli operatori sanitari che rischiano la propria vita nell’emergenza.

«Il Governo si è impegnato ad affrontare il tema, che comunque si divide in tre parti. Primo, fare ora una caccia alle responsabilità non è il massimo. Abbiamo bisogno di essere tutti solidali e in una situazione in cui non ci sono più linee guida, buone pratiche, insomma non ci sono ancoraggi attorno ai quali misurare la diligenza e la responsabilità, bisogna trovare una norma ad hoc. La norma di cui parlavamo prima prevedeva che per valutare la colpa grave, ovvero l’unico titolo necessario per ascrivere l’azione nella responsabilità civile e penale, bisognava considerare vari aspetti, tra cui: la situazione emergenziale, la limitazione delle risorse rispetto al flusso dei pazienti, il fatto che molti medici sono stati chiamati a lavorare in contesti diversi da quelli che riguardano la loro specializzazione. Insomma, vari aspetti che erano tali da individuare in maniera chiara una colpa grave molto circostanziata. Si voleva evitare che si alzassero nuove “industrie del sinistro” che vadano a proporre richieste risarcitorie per tutte le vittime del Coronavirus, cosa che tra l’altro già sta succedendo. Quindi il primo tema da affrontare è quello di trovare un modo per limitare questo tipo di responsabilità, sia dal lato dei medici che delle strutture. A questo punto si poneva poi un problema di tutela del paziente, e questo è il secondo punto. Qui il problema è diverso. Mentre questa regola di responsabilità la si può introdurre subito, perché è una regola di buon senso e che specifica che cosa deve intendersi per colpa grave in una situazione emergenziale, andare a ritrovare le responsabilità dei medici che hanno operato in situazione di emergenza ma con dispositivi spesso scarsi o non disponibili, andare a capire se la responsabilità è datoriale o amministrativa, se gli operatori hanno fatto tutto quel che si poteva fare, è un esercizio non facilissimo. È giusto però che chi abbia contratto il virus o addirittura sacrificato la vita per cause di servizio sia compensato. Credo che l’unica strada, al di là di gravi responsabilità conclamate, sia un fondo di solidarietà. I casi sono tanti ma non tantissimi, per cui è giusto che il Governo si impegni nella costituzione di questo fondo che andrebbe ad integrare le prestazioni che dà l’Inail, la quale, tra l’altro, qualifica il Covid-19 come infortunio sul lavoro, non come malattia. Ovviamente non è un qualcosa che si fa in due giorni. Bisogna capire come alimentare il fondo, come sostenerlo, chi ha diritto ad accedervi e chi no».

E il terzo tema?

«È il più difficile e riguarda le vittime del Coronavirus. Non può essere escluso che certe persone abbiano effettivamente subito un danno. Magari sono decedute a fronte di una non del tutto chiara gestione del loro caso. La regola di responsabilità di cui si parlava non porta ad un azzeramento della stessa. In alcuni casi si è chiesto addirittura che la responsabilità fosse limitata ai soli casi di dolo, il che è una follia: non credo che possa mai passare una norma del genere dal punto di vista costituzionale, perché non si può pensare che un soggetto risponda solo se ha voluto cagionare un danno. Anche in una situazione di emergenza ci possono essere dei casi in cui si commettono errori gravissimi, vuoi per distrazione o altri motivi. Queste situazioni ovviamente non possono essere emendate. Esiste comunque per i pazienti la possibilità di essere risarciti quando si verifica una responsabilità grave, e in questa ipotesi normativa continuerebbe ad esserci. Anche in questo caso si potrebbe ipotizzare un fondo, simile a quello di cui parlavo prima, ma la sua realizzazione non sarebbe affatto facile: bisognerebbe, ad esempio, distinguere tra chi è morto in ospedale perché ha contratto lì il virus o perché lo ha preso in casa, ci sono soggetti morti a casa perché non sono riusciti ad andare in ospedale, insomma ci sono tantissimi aspetti che, alla fine dei giochi, andrebbero valutati. Per i medici e gli operatori sanitari che hanno contratto l’infezione, non c’è dubbio che ci debba essere un fondo. Per i pazienti comuni, invece, vedo molto difficile la costruzione di un fondo che, con questi numeri, possa dare un reale indennizzo a tutte le vittime distinguendo, con tutte le difficoltà del caso, chi aveva già malattie pregresse, comorbilità, chi si poteva salvare, chi è morto in ospedale e chi no. Insomma, la vedo molto difficile».

 

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