Claudio Delli Carri racconta cosa sta accadendo all’ospedale le Molinette di Torino tra mascherine fai-da-te, turni massacranti e insufficienza di dispositivi di protezione individuale
«La situazione che stiamo vivendo è drammatica; il Piemonte è in estremo ritardo dopo l’esperienza della Lombardia, il sistema rischia il collasso e di dover scegliere chi guarire e chi no. Inoltre, stiamo registrando problemi gravi non sono alle Molinette ma in tutte le aziende piemontesi: se non si fa qualcosa, sarò costretto a rivolgermi agli uffici competenti della Procura della Repubblica». Claudio Delli Carri, segretario regionale del sindacato Nursing up Piemonte, spiega le motivazioni di questa dura presa di posizione a Sanità Informazione.
«Il primo problema che denunciamo – spiega il segretario – è una carenza enorme di dispositivi di protezione individuale non solo in Piemonte ma a livello nazionale. Arrivano in ritardo e sono talmente pochi che si rischia di usare gli stessi dispositivi più volte e per vari giorni, quando sappiamo bene che vanno buttati e ricambiati». E non è finita qui: «Di quelli che stanno arrivando attualmente molti non sono neanche idonei».
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Il secondo problema «riguarda le indicazioni fornite nell’utilizzo dei dispositivi che lasciano molto a desiderare. La mascherina chirurgica può essere utilizzata nei corridoi del reparto, ma quando si deve lavorare vicino ai pazienti positivi per Covid-19 c’è il rischio di infettarsi e pretendiamo tutte le protezioni del caso: mascherina FFP2 che ha il filtro, visiera, copricapo, tuta, copriscarpe e guanti. Secondo noi, quelle disposizioni vanno modificate per evitare di mettere in serio pericolo il lavoratore».
La mascherina chirurgica serve soprattutto al paziente sintomatico, la mascherina con il filtraggio dà la possibilità di isolare chi interviene attraverso le manovre di aerosol o esami di gastroscopia e broncoscopia, con una buona protezione, cosa che non ha la mascherina chirurgica. «Per questo, nei servizi Covid-19 positivi, di pronto soccorso, 118 e nelle rianimazioni, dove c’è un contatto diretto e continuo, ci vogliono le FFP2 con il filtro speciale che isola il sistema respiratorio del lavoratore da quello del paziente».
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La terza criticità sollevata a gran voce dal segretario Delli Carri interessa i ritardi con cui vengono effettuati i tamponi sugli infermieri per rilevare la presenza del Coronavirus: «I tamponi purtroppo devono essere fatti entro un certo limite di tempo che spesso non viene rispettato perché la richiesta in questo momento è aumentata. Il fatto grave è che a molti infermieri, in presenza o meno di sintomi, non fanno più i tamponi, li tengono in isolamento, dopodiché tornano a lavorare. È un errore perché in questo modo diventiamo noi i vettori dell’infezione. Le disposizioni sono cambiate varie volte nel giro di pochi giorni. Molti infermieri, asintomatici, hanno continuato a lavorare in attesa delle risposte dei tamponi, quando dovevano essere tenuti in isolamento fino al risultato. In alcuni casi sono risultati positivi e sono nati problemi. Non si può far lavorare le persone nell’incertezza e nell’insicurezza creando paura. In più, con rammarico, abbiamo saputo che i tamponi vengono fatti ai medici all’insaputa degli infermieri che sono ugualmente esposti: questo è eticamente e moralmente gravissimo» accusa.
Ritardi e carenze di materiali, problemi di comunicazione e organizzazione «creano una grande sfiducia nelle istituzioni – continua Delli Carri – . Le nostre richieste sono queste: devono far arrivare più materiale possibile con tutti i mezzi possibili chiedendo aiuto a tutti gli Stati membri dell’Unione europea, l’Italia non deve essere isolata. Faccio un esempio: l’avvocato Giovanni Olmo ha donato 100mila euro tramite la comunità dei cinesi di Vercelli. Da solo è riuscito a far arrivare mascherine, tute, ventilatori e dispositivi. Se può farlo un cittadino privato da solo può riuscirci anche chi governa, altrimenti c’è qualcosa che non va. I materiali sono sempre pochi, c’è un consumo continuo, ne abbiamo un gran bisogno. I colleghi sono arrivati a farsi le mascherine in casa, non è possibile lavorare i questo modo. Le mascherine con i filtri devono essere usate e poi buttate e non riutilizzate ma questo non succede. I colleghi tengono le mascherine per 8-12 ore e, visto, che sono a pressione, rimangono i segni sula pelle. Le migliori, le FFP3, non le abbiamo mai viste» conclude Claudio Delli Carri.
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