Il segretario del sindacato degli anestesisti Alessandro Vergallo racconta il difficile momento che sta vivendo la categoria nelle zone più colpite: «La situazione è critica, non riusciamo neanche più a parlarci al telefono. Bloccate ferie, riposi, recuperi». Poi denuncia: «In tutta Italia sono meno di 5mila i posti in terapia intensiva. Negli ultimi dieci anni tagliato il 7-8%»
«In Lombardia la situazione è drammatica: nelle ultime 24 ore c’è stato un aumento dei casi del 40%. Ma, dati di ieri, restano solo circa 20 posti liberi in rianimazione». I numeri snocciolati da Alessandro Vergallo, Segretario del sindacato degli anestesisti rianimatori Aaroi-Emac, rendono bene l’idea della situazione di grande criticità che sta vivendo la sanità lombarda con lo scoppio dell’epidemia di coronavirus e l’inarrestabile avanzata del COVID-19. Un ruolo di primo piano lo stanno giocando proprio gli anestesisti: fu un anestesista ad insospettirsi e scoprire il paziente 1 all’ospedale di Codogno. In tutta Italia, secondo l’ultimo bollettino, sono 140 le persone ricoverate in rianimazione per il coronavirus, 106 nella sola Lombardia: si tratta del 9% di chi ha contratto il virus. «Si stanno già attuando misure straordinarie di ottimizzazione dei posti letto in rianimazione – spiega Vergallo -. In Lombardia sono già stati sospesi tutti gli interventi chirurgici non urgenti che si presupponga possano richiedere un posto in rianimazione. Al di là di questi meccanismi, una cosa che si può fare a breve termine è quella dell’attivazione anche di posti letto delle strutture private, per lo meno quelle grandi che hanno uno standard di accreditamento del Servizio sanitario per le terapie intensive».
Tutto il settore degli anestesisti rianimatori resta però in grande sofferenza. «Non riusciamo neanche a parlarci al telefono per quanto lavoro c’è – continua il segretario Aaroi-Emac -. Una parte dei colleghi, per la sola sospensione di una certa quota di interventi chirurgici, chiaramente è stata resa disponibile per sopperire ai turni di rianimazione. Sono però anch’essi al limite. Sono state già annullate ferie, riposi, recuperi, aggiornamenti e quant’altro per cui la situazione dal punto di vista del personale è abbastanza critica. Questo per dare un’idea di come la forsennata politica di taglio dei posti in specialità, soprattutto di quelle più critiche come la nostra, abbia inciso nell’emergenza. Speriamo che una volta passata la buriana qualcuno si metta la mano sulla coscienza e si decida a fare una programmazione seria degli specialisti che servono».
Quando però chiediamo a Vergallo se, in caso di diffusione dell’epidemia al resto del Paese, i posti letto in rianimazione in Italia siano sufficienti, il segretario non si sbilancia. Ma anche qui i numeri che fornisce non fanno ben sperare. «In tutta Italia i posti in terapia intensiva sono poco meno di 5mila. Nell’arco di 10 anni sono stati tagliati circa il 7-8%, un numero drammatico. Se poi pensiamo che questo ha portato anche ad un ridimensionamento del personale specialista nella nostra disciplina, il quadro è abbastanza devastante. Di questo dobbiamo ringraziare chi non ha pensato a fare una programmazione seria del fabbisogno specialistico».
Nell’emergenza non resta che dare il via a meccanismi di reclutamento straordinario del personale, come sta facendo il governatore della Lombardia Attilio Fontana: «Il problema è trovare i colleghi – continua Vergallo -. Sono pochi quelli a spasso. Sicuramente noi in questo frangente non ci opponiamo, subiamo obtorto collo l’idea di far rientrare in servizio i pensionati, una vecchia idea che ciclicamente ritorna. Ma a parte che costoro non sono la panacea, è chiaro che non può essere questa la risposta di un sistema sanitario serio alle carenze che sono state create».
Infine una stoccata al premier Conte e a tutti quelli che hanno puntato il dito contro i medici all’inizio dell’emergenza: «Credo che chi lo ha fatto ne pagherà lo scotto. Per il momento noi non abbiamo infierito, abbiamo reagito in maniera composta. Penso sia stato uno scivolone e sia stato mal consigliato da chi gli gira attorno. Noi abbiamo lavorato in silenzio. Però sono arrabbiato. I colleghi hanno lavorato senza dire nulla attenendosi alle direttive. Sono le direttive che hanno dormito per oltre un mese dato che il primo allarme si è verificato già dopo le vacanze di Natale. L’8 gennaio il professor Burioni già iniziava a mettere in guardia sul suo blog e a fare la cronistoria dell’epidemia. I primi provvedimenti sono arrivati a distanza di oltre un mese con un governatore che a distanza di 40 giorni diceva che non era necessaria la quarantena e l’isolamento. Ora la sua regione fortunatamente non è tra le più colpite, ma questo non vuol dire che noi non abbiamo monitorato i ritardi soprattutto dell’amministrazione centrale. C’è stato uno scaricabarile sulle regioni ma a fronte dei numeri che noi abbiamo devo dire che la Regione Lombardia ha reagito nella maniera migliore possibile nel caos che si è creato».
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