La sanità ligure sta attraversando un momento di grande trasformazione. Per raccontarlo, siamo andati a Genova e abbiamo incontrato istituzioni, medici, direzioni ospedaliere e sindacalisti che ci hanno raccontato in che direzione sta andando la sanità della Regione tra privatizzazioni, nuovi ospedali, nuove politiche e nuovi modelli assistenziali. Ma con medici sempre più anziani. Cecchini (CIMO): «Sono cambiamenti importanti che richiedono al sindacato una forte attenzione e un forte impegno»
Genova ci accoglie con una giornata di sole inaspettata, in una insolita primavera ormai alle spalle. Per due giorni l’abbiamo attraversata in lungo e in largo, incontrando medici, sindacalisti, istituzioni e direzioni ospedaliere per conoscere e capire meglio la sanità della Liguria, oggetto della seconda puntata del reportage di Sanità Informazione #DestinazioneSanità, in collaborazione con il sindacato dei medici CIMO.
Iniziamo il nostro viaggio in piazza De Ferrari, dove si staglia il palazzo della Regione Liguria. Su, al terzo piano, ci attende l’assessore regionale alla sanità Sonia Viale, principale promotrice della riforma socio-sanitaria adottata nel 2017 dalla giunta di Giovanni Toti. Una riforma «partita dalla necessità di coordinare le decisioni per ridurre il disavanzo e migliorare la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni, ma senza chiudere gli ospedali», ci spiega l’assessore.
La riforma può essere riassunta in pochi, sintetici punti: il mantenimento delle cinque Asl di Imperia, Savona, Genova, Chiavari e La Spezia coordinate dalla nuova azienda ligure sanitaria A.Li.Sa.; l’introduzione del CUP regionale dal quale i pazienti possono prenotare prestazioni in tutta la Liguria; una maggiore integrazione ospedale-territorio, particolarmente necessaria nella Regione più anziana d’Italia; una sanità a chilometro zero che, avvicinando medici, strutture e farmaci agli abitanti di tutte le aree della Liguria, garantisca equità di accesso al sistema.
«In poco tempo – commenta Sonia Viale – questa soluzione ha permesso la riduzione del disavanzo da 98 a 60 milioni di euro, quindi abbiamo raggiunto risultati importanti. Abbiamo poi voluto approfondire la norma nazionale che prevede la partnership tra pubblico e privato. In altre Regioni ci sono molte strutture private accreditate, dove tra l’altro molti liguri vanno a curarsi. Considerato allora che alcuni ospedali della nostra Regione soffrono della carenza di personale e hanno subìto il declassamento dell’area di emergenza da Pronto soccorso a punto di primo intervento, abbiamo pubblicato un bando di gara per affidare la gestione di tre ospedali del Ponente ligure – Bordighera, Albenga e Cairo Montenotte – a società private, mettendo in sicurezza l’esistenza degli ospedali e tutelando il personale che vi lavora, che rimane pubblico».
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Quando abbiamo incontrato la dottoressa Valeria Ciangarotti, radiologa dell’ospedale di Albenga iscritta alla CIMO, ci ha però precisato che se è vero che «il rapporto di lavoro dei medici che già lavorano in questa struttura rimarrà pubblico, con l’Asl», i nuovi assunti «avranno invece un contratto privato».
L’assessore precisa che «per il cittadino non cambia nulla, essendo comunque sottoposto ad un regime di sanità pubblica con una gestione privata»; ma i sindacati e le opposizioni alla giunta regionale hanno parlato di privatizzazione della sanità.
«La sanità ligure sta attraversando una fase di profonda trasformazione – evidenzia il segretario regionale della CIMO Giulio Cecchini -. Com’è giusto che sia, molte attività vengono trasferite al territorio mentre si sta tentando di investire nelle strutture ospedaliere per un loro parziale rinnovamento. Il problema è che, come spesso accade in Italia, mancano i fondi necessari e si sta quindi ricorrendo a joint venture con i privati, come nel caso del progetto del nuovo ospedale Erzelli, vicino all’aeroporto di Genova. Sono cambiamenti importanti che richiedono al sindacato una forte attenzione e un forte impegno per verificare che il transito di strutture pubbliche alla proprietà privata avvenga in maniera costruttiva, rispettando i criteri di qualità e le condizioni di lavoro».
«Lo shifting dal pubblico al privato cui stiamo assistendo in Liguria – aggiunge il Presidente della Federazione CIMO-FESMED Guido Quici – interessa anche la professione medica, perché i diritti e i doveri dei camici bianchi che lavorano nelle strutture pubbliche o nelle strutture private sono gli stessi e vanno tutelati. Per questo abbiamo appena firmato un patto federativo con la CIMOP, il sindacato più rappresentativo dell’area privata: per mettere sempre più al centro delle nostre azioni la tutela del medico, qualunque sia il suo datore di lavoro».
Tra i principali investimenti cui fa riferimento Cecchini, ci sono quelli destinati alla costruzione del nuovo ospedale Galliera di Genova. La struttura attuale, con lunghi corridoi dai soffitti altissimi delimitati da enormi finestre che fanno entrare luce in ogni momento della giornata e dell’anno, sembra il set di un film d’altri tempi. Il Galliera di fatto ha 131 anni, e rientra a pieno titolo nella categoria degli ospedali vecchi. «O saggi, a seconda della prospettiva». Adriano Lagostena è il direttore generale dell’ospedale, che abbiamo incontrato nel suo ufficio.
«La comunità del Galliera ha grandi aspettative per la nuova struttura. Stiamo lottando contro l’avversità di una parte della cittadinanza che non condivide lo sviluppo del progetto, ma tra ricorsi e contro ricorsi siamo forse all’ultima curva, e speriamo che poi ci sia il rettilineo». Il Galliera è un ospedale di alta specializzazione di rilievo nazionale con una connotazione nell’ambito della ricerca tale che Regione e ministero della Salute stanno verificando se ci sono le condizioni per farlo diventare un IRCCS (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico). «In questo caso – spiega Lagostena – l’orientamento sarebbe la geriatria, visto che il Galliera è l’ospedale del centro di Genova, dove risiede la popolazione più anziana d’Europa e tra le più anziane del mondo».
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I problemi legati all’invecchiamento della popolazione devono essere fronteggiati dalla Liguria oggi, ma, presumibilmente, si verificheranno nei prossimi anni anche nel resto d’Italia. Ecco perché la Regione è considerata un laboratorio per l’invecchiamento del Paese e, se troverà le giuste soluzioni, potrà esportarle altrove. Non è un caso, allora, che proprio a Genova sia stato recentemente inaugurato un dipartimento misto che riunisce università e medicina generale nell’ottica di rendere possibile quella maggiore integrazione tra ospedale e territorio necessaria per lottare, ad esempio, contro le cronicità.
Ma cronica sembra essere anche la carenza di specialisti, rinomato problema che riguarda tutta la sanità italiana e che non risparmia nemmeno la Liguria. Tanto per dare dei numeri, «il prossimo anno andranno in pensione 19 ginecologi, ma dalle scuole di specializzazione ne usciranno solo 5», ci spiega Pierluigi Bracco, segretario regionale della FESMED. Come nel resto del Paese, allora, anche qui si sta pensando a possibili soluzioni per far fronte alla situazione. La Regione ha finanziato 12 borse di specializzazione che si aggiungono a quelle previste a livello nazionale, ma cosa fare in attesa che gli attuali specializzandi diventino specialisti? «Richiamare i medici in pensione è una delle opportunità che valuteremo insieme alle sigle sindacali», risponde l’assessore Sonia Viale.
Saltando da pensionati a bambini, l’ultima tappa del nostro tour è l’ospedale pediatrico Gaslini di Genova. Un’eccellenza a livello nazionale e internazionale immersa in uno splendido giardino che si affaccia sul mare. La struttura è stata inaugurata nel 1938 e costruita in modo che ‘Ai bambini e ai fiori arrivasse lo splendore del sole’: le stanze di degenza sono rivolte verso il mare ed il sole, le sale operatorie verso il buio Nord e l’entroterra. Vi incontriamo il nuovo direttore sanitario Raffaele Spiazzi. Ci mostra i giochi, i disegni e i rompicapo che popolano il suo ufficio («Per lavorare con un bambino, bisogna un po’ esserlo») e poi, su una terrazza con una vista mozzafiato, ci racconta che «il Gaslini è nato con l’idea di proporsi come centro di assistenza al bambino, di ricerca e di formazione all’avanguardia. Vantiamo una competenza altissima dei nostri professionisti – prosegue Spiazzi –, in grado di erogare tutti i pattern di cura che la moderna medicina offre in un quadro di accoglienza globale del bambino e della sua famiglia. Oggi è un marchio riconoscibile in Italia e nel mondo e i nostri pazienti vengono da 74 Paesi diversi».
Le alte specialità devono infatti avere un ampio bacino di utenza per poter sopravvivere. Poiché la Liguria è una Regione piccola e con un tasso di natalità bassissimo, un ospedale pediatrico come il Gaslini deve allora necessariamente richiamare pazienti da fuori Regione. È quanto sostiene il medico CIMO Giacomo Pongiglione, ex direttore del dipartimento di cardiologia del Gaslini, ormai in pensione. «Ma se basta un aereo per andare dal Sud a Milano, a Roma o a Torino – aggiunge Pongiglione – per venire a Genova ne servono due, e portare un bambino malato diventa difficile. Una volta c’erano molti più voli per la Liguria e a costi più bassi, ma oggi è fondamentale rendere il Gaslini più recettivo, anche se mi rendo conto che è ben difficile».
Dopo il crollo del ponte Morandi, raggiungere Genova è forse ancor più difficoltoso. Passeggiando tra le strade della città, più volte notiamo appesa alle vetrine dei negozi una delle tante immagini simbolo della tragedia dello scorso 14 agosto: i due monconi del ponte collegati dall’abbraccio di un tifoso del Genoa e uno della Sampdoria. Una tragedia ancora viva nelle parole e nei ricordi dei genovesi, ma la risposta della sanità ligure, quel drammatico giorno, è stata tanto esemplare da essere stata presa da modello qualora si verificasse un evento simile in altre parti d’Italia. «Pochi istanti dopo il crollo del ponte – ricorda l’assessore Viale – si sono mobilitati tutti gli operatori, che fossero in servizio o in ferie, e sul posto sono accorse ambulanze e auto mediche. In pochi minuti avevamo 13 sale operatorie attive al Policlinico San Martino e per molte settimane abbiamo provveduto all’assistenza psicologica dei feriti e dei familiari delle vittime. In un secondo momento, per evitare che la popolazione di quell’area colpita dovesse spostarsi, abbiamo potenziato tutte le prestazioni ambulatoriali, aumentando il personale e prolungando gli orari di apertura. Insomma, come noi liguri sappiamo fare bene, ci siamo rimboccati le maniche. Questa è la capacità di azione e di reazione della nostra Regione – conclude l’assessore – e ne andiamo fieri».