Cicchetti (ALTEMS): «È necessario che ogni prestazione digitale sia inserita nel tariffario dei LEA così da garantirne la rimborsabilità attraverso il Sistema Sanitario Nazionale. La commercializzazione degli strumenti di Digital Medicine, senza le procedure di rimborsabilità e di prezzo, espone tali tecnologie all’acquisto discrezionale da parte delle Regioni e delle ASL, senza assicurare l’unitarietà di accesso per tutti i cittadini»
Immaginiamo di trovarci in un paesino di montagna, dove l’ospedale più vicino dista più di un’ora di macchina e il medico di famiglia ha lo studio nel comune limitrofo. Immaginiamo anche di essere nel fine settimana e di avere, quindi, ancor meno possibilità di contattare in modo celere lo specialista di cui avremmo bisogno. Se fino a poco tempo fa, in una situazione del genere, avremmo avuto sostanzialmente due possibilità, alzare il telefono o metterci alla guida, oggi disponiamo di una serie di nuove tecnologie che, non solo ci permettono di comunicare in tempo reale con professionisti di tutto il mondo, ma anche di eseguire degli esami e trasmetterne i risultati a lunga distanza. Dunque, non solo teleconsulti e televisite, ma anche applicazioni per il monitoraggio dello stato di salute e per la diagnostica.
Eppure, avere queste strumentazioni non significa necessariamente poterne disporre. Il primo limite è legislativo. «Affinché la medicina digitale possa decollare è necessario che sia espressamente prevista nella Missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) – dice Nello Martini, presidente Fondazione RES (Ricerca e Salute) -. Inoltre, è necessario che siano messe a punto delle procedure in grado di valutare l’efficacia e l’innovatività della digital medicine, cosicché da eliminare le tecnologie che risulteranno totalmente inefficaci, migliorare eventuali punti di debolezza e promuovere la diffusione delle strumentazioni maggiormente performanti».
La “sperimentazione” potrebbe essere attuata a partire dai malati cronici. «La medicina digitale non solo permette di monitorare costantemente il paziente, ma anche di migliorare l’aderenza terapeutica. Il tutto con un doppio risultato: il benessere del paziente e un risparmio per le casse della Sanità che si troverà a gestire sempre meno acuzie e, quindi, ospedalizzazioni», sottolinea Martini. Ma per passare dalla teoria alla pratica è necessario un altro fondamentale passaggio: il riconoscimento della digital medicine tra i Livelli essenziali di assistenza (LEA). «Ogni prestazione digitale deve essere inserita nel tariffario dei LEA così da garantirne la rimborsabilità attraverso il Sistema Sanitario Nazionale – dice Americo Cicchetti, presidente di ALTEMS Advisory -. La commercializzazione degli strumenti di Digital Medicine, senza le procedure di rimborsabilità e di prezzo, espone tali tecnologie all’acquisto discrezionale da parte delle Regioni e delle ASL, senza assicurare l’unitarietà di accesso per tutti i cittadini».
Tuttavia, tornando ad immaginare di trovarci nel paesino di montagna, dove l’ospedale più vicino dista più di un’ora di macchina e il medico di famiglia ha lo studio nel comune limitrofo, regolamentazione legislativa, inserimento nei Lea e monitoraggio dell’efficacia, non saranno comunque sufficienti ad assicurare la diffusione della digital medicine. «Affinché le strumentazioni digitali funzionino è necessario che ci sia una connettività adeguata, come il 4G e, soprattutto, che chi si ritrovi davanti ad una di queste tecnologie sappia utilizzarla, che si tratti di un professionista sanitario o di un paziente – aggiunge il presidente di ALTEMS Advisory -. Per questo, è necessario intervenire sia investendo nelle infrastrutture, ma anche diffondendo la cultura del digitale che non è semplicemente formazione di utenti e operatori. È necessario che si diffonda la figura del digital assistant, un professionista in grado di trasferire la capacità, soprattutto agli anziani – conclude Cicchetti – di utilizzare tutti gli strumenti di digital medicine».
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