«Serve un intervento legislativo per aiutare le strutture sanitarie a districarsi in caso di necessità. Legge Gelli utile ma va completata», così a Sanità Informazione Elisabetta Rampelli, presidente nazionale Unione Italiana Forense
«Un tiro al piccione», così Elisabetta Rampelli, presidente nazionale UIF – Unione Italiana Forense, definisce l’atteggiamento vessatorio a cui, spesso, vengono sottoposti i liberi professionisti e soprattutto la categoria dei medici. «Esercitare una professione con la spada di Damocle di qualcuno che è pronto a cogliere qualunque tipo di sbavatura tu possa compiere, non ti dà libertà di azione e provoca una perdita di fiducia nella professione che si è scelto di praticare». Così commenta a Sanità Informazione la presidente Rampelli in occasione del convegno ‘Avvocati e medici. I profili delle responsabilità e le strategie difensive’ organizzato presso la Corte d’Appello di Roma con OMCeO Roma e la partnership media della nostra testata.
La medicina difensiva è la risposta «ad una corsa al risarcimento sempre più forsennata» spiega la dottoressa che sottolinea quanto, negli ultimi anni, la posizione dei professionisti sanitari sia diventata difficoltosa «praticamente si lavora nella paura costante, è come camminare sulle uova», aggiunge Rampelli.
«C’è stato un periodo in cui i medici sono stati veramente oggetto di processi a iosa, una vera e propria ‘persecuzione’ nei loro confronti, senza tener conto del contesto in cui questi professionisti operano – prosegue -. Non dimentichiamo che gli ospedali sono sotto organico, che i turni di lavoro sono massacranti, che nonostante le sentenze europee, ai medici vengono imposti turni di lavoro che non tengono conto dei parametri stabiliti dalle direttive europee».
«Noi come associazione abbiamo sempre contrastato questo ‘accanimento’ che oltretutto lascia delle cicatrici importanti sia personali che professionali. Io credo – continua la Rampelli -, che sarebbe stato sufficiente che in passato qualche sentenza del Tribunale avesse rimesso in ordine quelli che sono i confini dell’attività professionale, per evitare oltre il danno al professionista, anche il grosso danno per lo Stato che questa medicina cosiddetta ‘difensiva’ provoca».
«Non dico che il medico non faccia errori – tiene a specificare la presidente -, lo stesso discorso vale per gli avvocati: è evidente che ci siano degli avvocati non preparati che sbagliano, questo nessuno lo mette in dubbio, ma è anche evidente che non si può stabilire a monte il risultato di un processo o di una controversia, perché non dipende solo dall’avvocato. Così come non si può decidere di non pagare un avvocato se non consegue un risultato, l’attività professionale è molto più complessa di come la si vuole far apparire. La stessa cosa vale per la professione medica».
Dunque «dovrebbe cambiare il sistema», fa notare la presidente UIF – Unione Italiana Forense che auspica un intervento legislativo per aiutare le strutture sanitarie a destreggiarsi in caso di necessità: «Quando c’è evidenza del danno – aggiunge -, teoricamente le aziende sanitarie potrebbero essere portate a concludere con un accordo, ma spesso non lo fanno perché i funzionari demandati a concludere la transazione, assumono in proprio una responsabilità risarcitoria che deve passare il vaglio della Corte dei Conti. La paura di essere citati per danno erariale dal procuratore della Corte dei Conti, innesca un meccanismo perverso rispetto al quale è molto difficile venirne fuori anche quando si riuscisse a dimostrare legittimità del proprio operato. Si tratta di un habitat mentale che va trasformato».
«Ritengo che, almeno in questo senso, la legge Gelli abbia posto dei freni. Infatti se non altro si sono limitate le ipotesi in cui automaticamente si finiva sotto processo. Ma in ogni caso è necessario rivedere la normativa per bloccare l’esborso costante dello Stato per i risarcimenti e per la medicina preventiva. Soprattutto – conclude -, è il momento di tutelare i professionisti per impedire che si disinnamorino del loro lavoro che è una professione non solo costituzionalmente prevista, ma da svolgere con passione e dedizione e non sotto costante minaccia».