L’85,8% degli italiani non ha mai dovuto rinunciare a un farmaco importante durante le fasi più difficili della pandemia. Ma le imprese chiedono meno differenze regionali per mantenere il servizio ad alto livello
Diciassettemila occupati, 10 miliardi di fatturato annuo, 52 imprese tra società provate, cooperative di farmacisti e multinazionali e 90mila consegne giornaliere di farmaci e dispositivi medici. I numeri che snoccioliamo tracciano la storia di un settore troppo spesso rimasto in ombra ma fondamentale per l’andamento della sanità italiana: a distribuzione intermedia farmaceutica (DIF), che durante la pandemia ha fatto la differenza tra un Paese in affanno e uno in stato di resistenza.
I dati nero su bianco li elenca lo studio della Fondazione Censis “Il valore sociale della distribuzione intermedia farmaceutica”, con l’obbiettivo di rendere ancora più chiaro a opinione pubblica e dirigenti il valore di questo comparto. Un servizio che ha garantito le consegne nelle 19mila farmacie italiane in minimo 3 massimo 12 ore, secondo la normativa, anche nei luoghi più impervi. Una distribuzione fatta per conto di Regioni e Asl, che ha di fatto reso possibile gestire il lockdown e i mesi di “zona rossa” senza allarmare i pazienti cronici, che dipendono da un farmaco per la loro buona salute.
Dagli italiani questo valore è stato apprezzato e riconosciuto secondo i risultati dell’indagine, che mostrano un indice di gradimento molto alto per il funzionamento del servizio. Che da solo garantisce consegne di dimensioni diverse, con tecnologie sicure e tracciabilità di ogni farmaco trasportato. Nonché prima di quelle mascherine che sono state il “salvavita” di questi due anni e poi dei vaccini, che le imprese della DIF hanno trasportato in maniera rapida e capillare nelle farmacie aderenti. Da solo, chiarisce Censis, il settore permette un risparmio di circa 4 miliardi di costi aggiuntivi e con circa 8 milioni di cittadini che comprano farmaci sul web, l’intermediazione della DIF sui prodotti venduti online dalle farmacie riduce sensibilmente i rischi di acquistare prodotti non sicuri.
Durante la pandemia l’85,8% degli italiani non ha mai rinunciato ad un farmaco importante o di cui aveva bisogno perché non sarebbe stato consegnato in farmacia. Per le persone a cui è capitato (14,2%) la rinuncia non è mai stata dovuta a una consegna bucata dai distributori intermedi, ma dall’indisponibilità del farmaco a monte della filiera e, quindi, dall’impossibilità di poterlo consegnare nelle farmacie.
Non sorprende dunque che per il 91,8% dei cittadini (92,8% dei pazienti cronici) l’operato della DIF sia una «garanzia per la propria salute». Il 93,7% riconosce l’importanza che tale servizio sia garantito sempre dovunque, anche nei comuni piccoli e in quelli non facili da raggiungere. Sempre al 92,2% (93% tra i malati cronici, 97,7% tra gli over 65) la percentuale di chi è convinto che la DIF eroghi un servizio sanitario «essenziale di pubblica utilità e che, come la pandemia ha insegnato, mai deve essere interrotto». Per l’82,1% degli intervistati la sanità territoriale non potrebbe funzionare senza la garanzia di trasporto di farmaci e dispositivi medici alle farmacie da parte delle aziende coinvolte.
Di fronte alle tante critiche che la pandemia ha inevitabilmente portato con sé, il settore DIF si differenzia per un esito di gradimento molto alto e una considerazione che ne amplifica la già buona “social reputation”. Eppure, nonostante questa vasta approvazione, si muovono in contesti regolatori complessi. Fatti di autorizzazioni e adempimenti regionali molto diversi tra loro, con relativi costi. «Da tempo poi – si legge – sono minati i margini operativi delle imprese, a causa della contrazione della remunerazione imposta dalla normativa e del calo dei prezzi dei farmaci dovuto allo sviluppo dei generici». E la DIF avverte che se si continuasse con l’erosione dei margini, il settore potrebbe non continuare a garantire il proprio funzionamento.
Pensare che questo non riguardi tutti e non possa portare conseguenze negative è sbagliato. Se si dovesse diminuire in efficienza la cittadinanza andrebbe ancor di più a rivolgersi fuori dalle farmacie: verso canali meno controllati e controllabili come quelli del web e dell’ecommerce.
Lo studio Censis si conclude con una sfida alle Istituzioni. Se, come è stato ripetuto dal ministro della Salute Roberto Speranza, la sanità territoriale deve essere la base del nuovo approccio italiano, si mostra indispensabile che un settore come la DIF venga considerato e valutato per le performance che garantisce. Far funzionare la sanità significa «rendere migliore la vita dei cittadini», che come in questo caso quando accade ne rendono sempre merito.
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