Un’intervista sulla leadership femminile in sanità con Sandra Morano, responsabile dell’area formazione femminile Anaao-Assomed. Tra qualche anno ci saranno più donne medico che uomini, ma l’organizzazione del lavoro dovrà cambiare dagli standard “maschili” a cui è stata orientata
Hanno lavorato senza sosta in questi mesi difficili, con mascherine troppo strette e turni senza fine. Non hanno rivisto le famiglie per molti giorni, sacrificando tutto per il loro lavoro. Hanno dimostrato qualità straordinarie anche con poveri mezzi e stanno aiutando il paese ad uscire dalla pandemia. Sono le donne in sanità, forza lavoro insostituibile in Italia presto destinata a diventare “dominante”.
Diciamo destinata perché, a guardare i numeri delle iscritte alla facoltà di Medicina e delle specializzande, «tra tre o quattro anni saranno loro a guidare la sanità». Ce lo ha detto Sandra Morano, ginecologa, professoressa a contratto all’Università di Genova e responsabile dell’area formazione femminile Anaao-Assomed. Coordinatrice dell’Accademia “Le Mediche”, Morano ha assicurato che anche la percentuale di donne leader in sanità, che per ora si assesta al 16%, andrà rapidamente ad alzarsi nei prossimi anni con i pensionamenti.
«La nostra preoccupazione – spiega – è quella di fare in modo che le donne arrivino preparate a questo momento, non tecnicamente dato che lo sono già, ma preparate ad avere uno sguardo complessivo di governo della sanità». Hanno già dimostrato una visione d’insieme e le capacità organizzative: «Sono riuscite con meno tempo e meno mezzi ad avere tutto sotto controllo più rapidamente. Invece noi le stiamo preparando sui contenuti per rinforzare questa preparazione e questa consapevolezza».
È di qualche giorno fa uno studio firmato Lenstore che classifica i paesi migliori in cui esercitare la professione sanitaria. L’Italia è lontana dai primi posti – in cui troviamo Francia, Olanda e Finlandia – arrivando solo al 23esimo. Fare carriera per le italiane non è ancora semplice, nonostante sia donna il 71% del personale sanitario e il 42% dei medici. Perché?
«La professione medica diverge dalle altre quando si parla di posizioni di leadership», analizza Morano. Ci spiega che le qualità che si ricercano nei dirigenti, per cui nei gradi più alti interviene sempre una parte soggettiva del processo decisionale, sono ancora “maschili” nel significato più stereotipato del termine. Dedicare del tempo all’amministrazione, infatti, significa spesso tralasciare i pazienti e l’attività di cura, che è sempre l’aspetto più importante della professione per le donne.
«Le donne – specifica Morano – più sono brave più amano stare con i pazienti e non amano andare in giro a cercare di capire come possono far carriera. L’intenzione primaria è sempre quella di “fare bene il proprio lavoro”. Seguono il paziente dall’inizio alla dimissione, mentre gli uomini se possono preferiscono scrivere articoli e lavori, per poi avere più titoli di carriera».
La formazione della leadership femminile lavora proprio su questo, facendo capire alle donne che accedere a ruoli di responsabilità non significa rinunciare al loro modo di intendere il lavoro. Che si può effettivamente attuare una leadership circolare, come loro la vorrebbero, e non verticale come è sempre stata presentata. «Da donne siamo portate da un punto di vista storico e mentale alla cura – insiste l’esperta -. Ma nel senso migliore del termine: più coscienziose, commettono meno errori e si portano a casa il lavoro. Governare non è un trampolino ma un modo per far funzionare meglio una catena che conoscono già molto bene».
In una survey portata avanti da Fems, European Federation of Salaried Doctors, su 11 paesi europei per misurare il livello di soddisfazione delle dottoresse nel rapporto con il posto di lavoro, i colleghi e il work-life balance, le italiane sono risultate le più insoddisfatte. Il 68% delle partecipanti ha dichiarato di sentirsi insoddisfatta da tutti i punti di vista «nonostante abbiamo la migliore legge sulla maternità d’Europa».
«Alla base del disagio delle italiane ci sono necessità che il lavoro vuole quasi sopprimere: come quelle familiari e personali. Quello che serve in questo momento sono delle vere pari opportunità che valorizzino i punti di forza delle lavoratrici». Per esempio, guardiamo alla differenza salariale. In Italia il contratto in sanità è uguale per donne e uomini, ma finisce per differire perché le donne fanno più ferie, più assenze e permessi perché sono sempre loro a occuparsi di un qualsiasi problema a casa. Dalla malattia dei figli, alle visite dei genitori o alle necessità di vita. «È evidente che è la visione della società che va cambiata», aggiunge Morani.
«Noi siamo per il rovesciamento dei tavoli – dice la coordinatrice de “Le Mediche” -, cambiare le regole verso nuove direzioni. Le donne hanno tante limitazioni ancora oltre a quella di non poter fare carriera: non possono scegliere quando fare un figlio, come e quanto seguirlo. Così come gli uomini, ma loro non denunciano queste scelte. Le donne non riescono a sublimare con la carriera perché per loro ritagliarsi degli spazi di vita è essenziale. Non si può considerare tutti allo stesso modo: questi orari così fissi che non possono essere flessibili o spostarsi ci rendono tutti uguali».
La pandemia in qualche senso ha aiutato a capire che non c’è un solo modo di lavorare. L’elasticità degli orari, il part-time, un sistema più agile hanno dimostrato di poter essere gli esempi per la sanità del futuro. «Se si pensa – aggiunge Morano – cosa sono state in grado di fare persone che non potevano staccare o tornare a casa, che non hanno fatto ferie per salvare più pazienti possibile e proteggere i propri colleghi. Questo a causa del fatto che la sanità è stata considerata il nulla per troppi anni».
I sindacati si stanno già occupando di pretendere dei correttivi da inserire nei prossimi contratti: tra cui il non considerare più la maternità come un “periodo perso” ma come un servizio alla società, di cui nessuna lavoratrice debba più sentirsi in colpa, nonché l’inserimento di nuovi e più moderni orari.
L’area formazione Anaao-Assomed ha inoltre lavorato a un libro in uscita, “La sanità che vogliamo”, in cui si analizzano i possibili utilizzi dei nuovi investimenti in arrivo in sanità, con necessità imprescindibili dell’organizzazione del lavoro.
«In questi anni – conclude Morano – la cura è diventata quasi una cosa di cui vergognarsi, per cui le donne volevano invece avere l’atteggiamento contrario. Mentre la società deve aspirare a diventare questo. Se le donne hanno un valore in più grazie a questa attitudine sono proprio destinate a dominare in un campo che a questo mira per eccellenza». L’Italia ha ora il dovere di gettare il cuore oltre l’ostacolo, perché «una donna che cura è la massima aspirazione della sanità».
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