Sandra Morano, coordinatrice dell’Accademia: «Dove le donne sono protagoniste, la sanità è migliorata. Le mediche devono entrare in rotta di collisione con l’attuale sistema in crisi e iniziare a pensare con mente di donna a come cambiare veramente le cose»
Nonostante lo si indichi con un nome femminile, quello della medicina è un mondo più per uomini. Le donne storicamente sono addette alle cure, ma sono sempre state fuori dall’ambito accademico o dalla ricerca. E nonostante oggi in Italia rappresentino il 40% dei medici, non esiste ancora, secondo l’Accademia “Le Mediche”, un modo di lavorare e di pensare che tenga conto della differenza di donna. Come cambierebbe la medicina se venisse insegnata al femminile? E in che modo cambierebbero la ricerca scientifica, i sistemi sanitari, gli orari di lavoro o gli stessi luoghi di cura, se “le mediche” fossero realmente protagoniste? Sono solo alcune delle domande che si pone l’Accademia, nata nell’ambito dell’Accademia delle maestrie femminili creata dalla filosofa Annarosa Buttarelli. Temi che vengono affrontati nel ciclo di incontri in corso a Roma, presso la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, e che abbiamo approfondito con la coordinatrice de Le Mediche Sandra Morano, specialista in ginecologia ed ostetricia, che non ha dubbi: «Le donne dovrebbero essere protagoniste in assoluto, portando il segno della loro differenza».
Dottoressa, qual è la differenza tra un medico e una medica?
«Ci sono molti studi su questo tema ed è stato dimostrato che quando i pazienti sono curati da donne sembra che guariscano meglio, che le donne chirurgo sono più precise, che dedicano molto più tempo e sono più brave nella relazione con il paziente. Questo significa che i talenti sono molti, estremamente diversificati e si devono scoprire nella loro globalità. E se questi talenti sono espressi così bene in una situazione di cattività, figuriamoci se ci fosse anche l’apporto nel disegno globale di cure, fatte completamente in un’ottica di tempo, disponibilità ed empatia femminili».
Qual è quindi il messaggio che lanciate alle donne in questi seminari?
«Il messaggio alle donne è di iniziare ad attrezzarsi e cominciare a pensare con mente di donna a come potrebbero cambiare le cose. Potrà sembrare assurdo o banale affrontare questi temi in un momento in cui sembra che i problemi siano altri, ma oggi i sistemi sanitari sono in crisi anche perché per troppo tempo si è fatto a meno del contributo delle donne. Laddove “la medica” è diventata protagonista, infatti, le cose sono veramente cambiate: i reparti sono diversi, l’insegnamento è centrato sui bisogni delle donne e degli uomini, così come cose più banali come gli orari o più importanti come i luoghi di lavoro».
Come mai secondo lei non c’è questo protagonismo femminile?
«Perché per essere realmente protagoniste occorre entrare in rotta di collisione con la situazione attuale, e non tutte ne hanno voglia o tempo. L’obiettivo invece è di portare dentro tutte le contraddizioni di cui siamo portatrici, cosa che vale per tutte le professioni, ma crediamo sia ancora più importante per le donne che si curano del corpo, che hanno contatto con la vita, la morte e la sofferenza tutti i giorni, quindi non si può prescindere da questo dualismo. Ed è questa la cosa più difficile: per farlo abbiamo avuto bisogno dei contributi di altre discipline, come l’arte, la letteratura, la psicologia, la storia, la filosofia, che possono dare una chiave molto più completa alla cura dell’uomo. Per questo motivo i moduli che l’Accademia propone sono arricchiti da un apporto interdisciplinare. Con l’aiuto di tutte queste discipline penso che le cose possano cambiare, e molto dipenderà dalle donne».
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