Stanchezza, rabbia, stati depressivi. Ma anche paura e consapevolezza di non poter tirarsi indietro. Parla la psicologa Mara Lastretti: «Strutturare corsi di supporto psicologico nelle aziende ospedaliere»
Una maratona estenuante, con il traguardo che sembra avvicinarsi ogni volta per poi allontanarsi di nuovo. È questa la sensazione che starebbero sperimentando medici e operatori in una fase in cui, non ancora conclusasi l’emergenza pandemica durata due anni, un’altra emergenza si affaccia con il suo carico di vite da salvare e curare, quella della guerra. Lo scoppio delle ostilità tra Russia e Ucraina, infatti, sta già generando un’ondata di rifugiati in fuga dal conflitto, di persone bisognose di cure, assistenza e supporto. Il punto è come l’onda d’urto generata da queste due emergenze impatterà sul personale sanitario, a livello psicologico, fisico, organizzativo e, di conseguenza, sull’assistenza che si riuscirà a mettere in campo. Ne abbiamo parlato con la psicologa Mara Lastretti, consigliera dell’Ordine Psicologi del Lazio, formatrice di equipe mediche nello sviluppo e supporto della relazione operatore sanitario-paziente.
«La pandemia ha rotto tutti gli schemi routinari, ed è stata finora lo stress test per eccellenza – afferma la psicologa -. Il punto è che dopo due anni non si riesce ancora a tracciare una linea, un punto di arrivo da cui poter dire “ricominciamo da qui”. Certo i numeri del Covid-19 stanno migliorando, ma non abbiamo ancora voltato pagina e la ferita psichica è ancora fresca. La sensazione riferita è di estrema stanchezza – aggiunge – ci si si rimbocca le maniche in maniera corretta e coerente con il mandato, ma un affaticamento così diffuso ha fatto sì che la figura dello psicologo negli ospedali fosse rivalutata culturalmente. Se per il medico rivolgersi allo psicologo per questioni attinenti al proprio lavoro era l’eccezione, oggi è una pratica assolutamente sdoganata. Lo scenario a cui stiamo assistendo in questi giorni – sottolinea – getta sicuramente le basi per uno stress difficilmente sostenibile senza un aiuto specializzato, soprattutto di fronte alla disumanità».
«Durante il clou della pandemia le richieste di supporto psicologico da parte del personale sanitario erano molto minori rispetto ad oggi: si era troppo impegnati sul campo – spiega Lastretti – fermarsi a riflettere sulle proprie emozioni un lusso che non ci si poteva permettere. Ora è molto diverso, il burnout tende a manifestarsi di più, anche con la rabbia. Ecco, stanchezza e rabbia ora rendono difficile la stessa comunicazione coi pazienti, ed è su questo aspetto che ci viene spesso richiesto supporto. Soprattutto adesso, con la guerra dietro l’angolo, gli stati depressivi sono molto più diffusi. Il personale sanitario – puntualizza l’esperta – si trova nella particolare situazione di essere spaventato dalle circostanze, come tutti, eppure di essere la colonna portante del sistema di cure e assistenza, di non potersi tirare indietro. Siamo in attesa che l’onda d’urto dell’emergenza sanitaria, stavolta non figlia di un virus ma del conflitto in corso, arrivi fino a noi, e questo ci pone in uno stato di allerta costante. Per adesso impegnati sul campo sono gli psicologi dell’emergenza, le associazioni della Croce Rossa, che hanno una formazione specifica per quanto riguarda l’assistenza e l’accoglienza in questa fase. Sicuramente – osserva – le sfide più difficili arriveranno tra qualche settimana».
«Nelle sessioni che abbiamo accolto – racconta Lastretti – i temi più affrontati hanno riguardato il fare i conti con la paura, con la tristezza, con lo stress che sfocia nel burn out. Ma non solo. Molta attenzione viene posta su come impostare la comunicazione, i rapporti con i pazienti e con i colleghi, l’organizzazione interna. Tutte le aziende sanitarie dovrebbero a questo punto strutturare dei corsi di Salute organizzativa attivando spazi di confronto tra colleghi, perché in situazioni come quelle che ci troviamo a vivere appoggiarsi l’un l’altro è molto terapeutico, ma soprattutto – conclude la psicologa – perché si inquadrano in quei processi di tutela della salute mentale del personale sanitario già a regime in altri Paesi europei».
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