Solo nella Capitale almeno tre episodi: al San Giovanni paziente tenta di staccare falange a infermiere. A Napoli bottigliata a dottoressa del San Giovanni Bosco. Maurizio Zega, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Roma: «Personale sotto stress da due anni, questi episodi fiaccano il morale»
Il Natale rende tutti più buoni. Così almeno vuole la vulgata popolare. Non se ne sono accorti però medici, infermieri e personale sanitario che in questo periodo festivo hanno visto aumentare in modo esponenziale aggressioni e violenze nei loro confronti. Un clima negativo, drammatizzato dalla recrudescenza dei contagi Covid, che si riversa sugli incolpevoli operatori sanitari, prima eroi e ora sempre più terminali del malcontento. «Temiamo che molti casi di aggressioni ai medici, soprattutto verbali e gli episodi minori, non vengano neppure più denunciati» mette in guardia il presidente della FNOMCeO Filippo Anelli. Una situazione che «rischia di fiaccare il morale del personale» spiega Maurizio Zega, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Roma.
Al Policlinico Umberto I di Roma un 26enne ha minacciato il personale sanitario presente, prendendo di mira in particolare una dottoressa, perché a suo parere non avrebbe curato adeguatamente il fratello ricoverato nel reparto di chirurgia. Il giovane è stato denunciato. A Lentini (Siracusa), un 41enne è stato denunciato per danneggiamento e minacce a pubblico ufficiale: l’uomo ha danneggiato una vetrata della sala d’aspetto inveendo contro i medici responsabili, secondo lui, di non fornire le cure adeguate alla moglie.
È andata peggio al San Giovanni Addolorata di Roma: il 29 dicembre un paziente ha staccato la falange di un’infermiera a morsi. L’uomo, un romano di 55 anni, è arrivato al Pronto soccorso dell’ospedale in stato di agitazione e, dopo essere stato calmato una prima volta dai medici, si è innervosito di nuovo, fino a dare in escandescenza. Ha iniziato, quindi, ad insultare il personale medico e, infine, ha aggredito l’infermiera che stava provando a calmarlo.
Al Policlinico Tor Vergata di Roma addirittura tre aggressioni in sette giorni, l’ultima il 29 dicembre dove un infermiere ha rimediato diversi pugni al torace dopo una colluttazione con un 50enne che ha dato in escandescenze. A Formia (Latina) un 25enne, armato di una spranga di ferro, ha minacciato e tentato di aggredire il personale medico dell’ospedale di Formia dove era stato trasportato poco prima in quanto trovato in stato di agitazione psicomotoria. Il giovane, nel corso del raptus, ha anche danneggiato l’area dedicata ai pazienti affetti da Covid-19, rendendola inutilizzabile fino a futuro intervento di manutenzione. A Napoli, la notte di Capodanno, un medico donna internista dell’ospedale San Giovanni Bosco è stata aggredita verbalmente e fisicamente con una bottiglia in faccia senza un apparente motivo. L’autore del gesto probabilmente un paziente psichiatrico.
Registra con crescente preoccupazione questi episodi il presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche di Roma Maurizio Zega, che a Sanità Informazione spiega: «Da un lato c’è un senso di insofferenza da parte della popolazione che è stanca delle condizioni di vita cui la pandemia ci obbliga. Dall’altro, c’è una innata abitudine al non rispetto delle regole da parte della popolazione. Questi avvenimenti fiaccano il morale del personale. Il personale più colpito è quello dell’urgenza che sta vivendo da due anni a questa parte una situazione importante perché deve continuare a gestire in maniera continuativa sia i pazienti Covid che i pazienti di altre patologie e quindi è sotto stress in maniera importante, non a caso il governo ha pensato a una indennità specifica per le figure che lavorano nel pronto soccorso».
Secondo Zega, tuttavia, la soluzione non è quella di inasprire le pene: «Non penso che la soluzione sia la repressione, il punto è la cultura. Noi purtroppo stiamo vivendo una dimensione di sottocultura stressata dalla pandemia». Una situazione che, secondo il presidente OPI Roma, «rischia di scoraggiare le nuove leve» considerando che «l’infermiere italiano è il meno pagato in Europa, ha un percorso di laurea difficile con un percorso clinico che non vede luce. Dobbiamo aumentare il numero di infermieri ma se non abbiamo i formatori non li avremo mai: il rapporto studenti infermieri e professori di infermieristica è 1 a 1350, a medicina il rapporto è 1 a 6 studenti. In più, l’indennità professionale è legata al rinnovo del contratto che ancora non c’è».
Infine, Zega individua uno dei problemi nella dotazione organica dei Pronto soccorsi: «Gli organici in Pronto soccorso vengono definiti nella Regione Lazio attraverso il volume degli accessi in pronto soccorso. Ma a Roma e nel Lazio ogni Pronto soccorso ha un quantitativo di persone importante che sosta all’interno in attesa del ricovero, si va da un minimo di 30 a un massimo di 70 persone che sostano per diversi giorni in attesa del posto letto. L’organico è stato definito in funzione del volume degli accessi, ma quello stesso personale si deve occupare della gestione del paziente che è ricoverato, che deve fare terapia, deve essere accudito, ecc. e poi deve occuparsi anche degli accessi. Il sistema va rivisto, il PNRR ci può dare una grande mano ma voglio capire qual è la vera intenzione del cambio di paradigma del nostro sistema sanitario».
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