«Diminuire l’esigenza di ospedalizzazione attraverso una solida e capillare rete di assistenza territoriale che impedisca la riacutizzazione delle patologie»
Un posto letto per acuti ogni 5.500 abitanti: sarebbe questa l’offerta necessaria in geriatria per rispettare il fabbisogno minimo. «Numeri – sottolinea Francesco Vetta, cardiologo aritmologo presso le case di cura Paideia e Mater Dei di Roma, tesoriere della Società italiana di Geriatria Ospedale e Territorio (Sigot) – raggiunti solo dalla sanità veneta, dove il rapporto posti letto-abitanti è pari allo 0,18 ogni mille cittadini. Cifre che nel Lazio sono di 5 volte inferiori e in Lombardia di ben 10 volte». Da una recentissima ricognizione Sigg-Sigot emerge, infatti, che la sanità lombarda offre solo 202 posti letto di geriatria per acuti per più di 10 milioni di abitanti, pari allo 0,02 per 1.000 abitanti, a fronte di una media nazionale dello 0,059.
«Il sinonimo geriatria-cronicità – continua Vetta – è ormai desueto, una rappresentazione errata della sanità italiana. L’anziano che arriva al pronto soccorso è di solito in una fase acuta della sua patologia, quella cronica è spesso trattata a domicilio o comunque non necessariamente in regime di ricovero. In altre parole – aggiunge il cardiologo – la popolazione continua ad invecchiare, ma il sistema ospedaliero italiano non riesce a stare al passo con il cambiamento». La soluzione? «Non è aumentare il numero di posti letto – risponde Vetta – ma diminuire l’esigenza di ospedalizzazione attraverso una solida e capillare rete di assistenza territoriale che, seguendo costantemente i pazienti anziani, possa impedire la riacutizzazione delle patologie».
Dalla recente indagine Sigg-Sigot è emersa anche una scarsa presenza di geriatri nelle RSA, per non parlare della gestione a domicilio dell’anziano fragile troppo spesso affidata al sacrificio dei medici di medicina generale. «Manca un riconoscimento di specificità della condizione della persona che invecchia: un ottantenne – dice lo specialista – non è un adulto con anni in più, è un organismo biologicamente, psicologicamente e affettivamente diverso, e come tale richiede un’assistenza che ne rispetti le peculiari esigenze».
Il sistema di cura dell’anziano, dunque, ha bisogno di essere rinnovato, e per completare il suo restyling non può di certo rinunciare al sostegno delle nuove tecnologie: «L’utilizzo della telemedicina – spiega Vetta – va necessariamente incrementato. Si tratta di una risorsa non solo culturale, ma anche diagnostica e terapeutica. In cardiologia, ad esempio, è molto utilizzata con i pazienti portatori di pace-maker che, in tal modo, possono essere monitorati sempre e in tempo reale. È dimostrato che la telemedicina riduce la mortalità e il numero di ricoveri di circa il 50%, con un risparmio di oltre la metà delle finanze pubbliche attualmente investite nel settore. Un successo importante che, però, resta una prerogativa di poche realtà virtuose: sono ancora troppe le regioni che non riconoscono la telemedicina in convenzione con il Sistema Sanitario, costringendo i pazienti che ne vogliano usufruire – conclude il cardiologo – a mettere mano al proprio portafoglio».