La conferma arriva da due studi: uno inglese realizzato prima della pandemia e l’altro italiano fatto durante e dopo il Covid. In entrambi risulta che la qualità del lavoro e le condizioni incidono sulla salute mentale in particolare nelle donne. Ecco perché dallo smart working non si deve più tornare indietro
Quanto incide il lavoro sulla psiche dell’uomo? A domandarselo sono in molti, in particolare dopo l’effetto pandemia che ha cambiato modalità e regole. La conferma arriva da uno studio realizzato da ricercatori dell’Università di Trieste, di Torino e di Milano Bicocca in collaborazione con il King’s College di Londra e pubblicato sulla rivista Labor Economics. Gli studiosi hanno dimostrato, per la prima volta, su una platea di 26 mila lavoratori, come la qualità del lavoro e le condizioni lavorative incidano sulla salute mentale, in particolare delle donne.
Ciò che è emerso è che il fenomeno reso evidente a seguito del Covid, in realtà era in atto da tempo come dimostrano i dati raccolti che riguardano un arco temporale che va dal 2010 al 2015, ma che gli effetti prima mitigati sono emersi in maniera evidente proprio con la pandemia. La conferma arriva da un secondo lavoro, questa volta tutto italiano, realizzato dall’istituto superiore di Sanità basato sul sistema di sorveglianza tra il 2017 e il 2022 secondo cui almeno il 6 % degli italiani sotto i 70 anni abbia sintomi depressivi e che la depressione colpisca le donne da 2 a 3 volte più degli uomini.
La depressione però risulta essere inversamente proporzionale alla responsabilità, un elemento questo che conferma Michela Belloni, docente di Economia Politica all’Università di Torino che ha preso parte allo studio. «La salute mentale delle lavoratrici in particolare di coloro che hanno meno di 35 anni, è migliore in situazioni in cui le donne possano esprimere una maggiore libertà d’azione in termini di responsabilità e programmi formativi. Al contrario, tra le over 50 la depressione è avvertita meno in chi fa un lavoro creativo, in un bell’ambiente e con orari di lavoro flessibili». Responsabilizzare di più le lavoratrici non solo riduce il rischio di depressione del 26% in tutte le età, ma accresce l’autostima del 28% tra le under 35 e del 45% tra le lavoratrici più anziane.
Secondo gli studi fatti un miglioramento dell’autonomia sugli orari di lavoro porta anche ad un miglioramento dei livelli di ansia del 11 percento e di autostima del 24%. Sempre dando uno sguardo ai risultati ottenuti è evidente che l’esposizione ai rischi fisici nel lavoro accresca l’ansia in particolare tra le lavoratrici più anziane, mentre è poco rilevante tra le più giovani.
La depressione oltre ad incidere direttamente sulla qualità del lavoro prodotto ha un impatto non trascurabile sui costi della sanità, un fattore questo spesso trascurato, ma che invece incide in maniera considerevole sull’economia di un Paese. Nel Regno Unito, ad esempio, la Mental Health Foundation ha recentemente stimato che i problemi di salute mentale costano al sistema economico britannico almeno 118 miliardi di sterline l’anno, ovvero il 5% di tutto il PIL del Regno Unito a causa della minor produttività dei lavoratori. L’Italia non si discosta molto come evidenziato da uno studio realizzato dalla SiHTA (società italiana di Health Technology Assesment) secondo cui i costi del disturbo depressivo ammontano a un miliardo e 250 milioni ogni anno, a cui vanno aggiunti i costi indiretti legati alla perdita di produttività che rappresentano il 70 percento dei costi del disturbo.
Autonomia e flessibilità sono diventate le parole d’ordine e dopo i due anni di pandemia e di lavoro da remoto la soluzione potrebbe essere proprio in quella parola inglese ormai entrata nelle case di tutti: Smart working. La conferma arriva da più parti: dove è stato ripristinato il lavoro in presenza molti hanno abbandonato, in particolare tra i giovani, tanto da dare inizio al fenomeno delle grandi dimissioni, che ha portato un numero incredibile di persone alla ricerca di nuovi stimoli e lavori più appaganti. Non è una questione di soldi, ma di benessere per conciliare i tempi casa-lavoro, per gestire la famiglia e non rimanere imprigionati in un luogo ma poter vivere al meglio allontanando il rischio della depressione.
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