Il presidente di Federfarma: «Ecco i tre pilastri su cui fondare il cambiamento». Mandelli (FOFI): «Potenziare la rete ospedaliera». Cavaliere (SIFO): «Incentivare la relazione tra farmacisti ospedalieri e di comunità»
Più che “farmacia di comunità” Marco Cossolo, presidente di Federfarma, preferisce chiamarla “farmacia di relazione”. Si tratta del nuovo modello di farmacia che dovrà nascere con l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che, nei prossimi 5 anni, ridisegnerà un Sistema Sanitario Nazionale più rispondente ai bisogni di salute, innovativo e vicino ai cittadini.
Ed è proprio a questo stesso argomento che è stato dedicato il prossimo numero della rivista Italian Health Policy Brief (IHPB) “Il farmacista nel rinnovamento del SSN: innovazione e ruolo per una figura cardine della sanità”, a cui hanno contribuito i massimi esponenti delle tre organizzazioni del mondo dei farmacisti: Marco Cossolo, Andrea Mandelli (presidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani) e Arturo Cavaliere (presidente della Società Italiana Farmacia Ospedaliera).
“Prossimità” è senz’altro una delle parole-chiave del PNRR, vicinanza che sarà espressa attraverso l’istituzione delle Case della comunità e all’implementazione dell’assistenza domiciliare. «Il nuovo ruolo del farmacista, che dovrebbe essere presto delineato attraverso la modifica del DM 70 – dice il presidente Cossolo -, dovrà collocarsi tra i servizi di assistenza territoriale e quelli di assistenza domiciliare. Il PNRR descrive dettagliatamente la presa in carico del paziente all’interno della Casa di comunità, dove gli verranno fornite diagnosi e prescrizioni corrette. Ma chi si occuperà dello stesso paziente nel tempo che trascorrerà tra un follow-up e l’atro? – chiede il presidente di Federfarma -. Considerando che sorgerà una Casa di comunità ogni 50 mila abitanti, è prevedibile che, in assenza di episodi acuti, riceverà un appuntamento ogni tre-sei mesi – aggiunge Cossolo -. Ed è proprio nell’arco di questo intervallo di tempo che il farmacista dovrà occuparsi di quei pazienti che, pur avendo stabilizzato la propria malattia, resteranno pur sempre malati cronici».
Sono tre i pilastri su cui fondare il cambiamento: dispensazione attiva dei farmaci, digitalizzazione e monitoraggio dei pazienti cronici. «Innanzitutto – dice Cossolo – è necessario che la dispensazione del farmaco sia attiva: il farmacista non deve semplicemente fornire un farmaco, ma anche convincere il cittadino ad assumerlo correttamente. È nostro compito illustrare gli eventuali effetti collaterali e restare a disposizione per qualsiasi esigenza successiva di chiarimento. Inoltre il farmacista, informato sulla terapia seguita dal paziente, può consigliare o sconsigliare l’eventuale assunzione di un farmaco da banco».
Il secondo pilastro è la digitalizzazione che permetterebbe al farmacista un’ulteriore vigilanza dell’aderenza terapeutica. «Se un cittadino acquista una confezione di un farmaco utile a soddisfare il fabbisogno per 28 giorni e torna ad acquistarne un’altra dopo 35 giorni (grazie alla digitalizzazione il farmacista potrà controllare eventuali acquisti a nome di quel medesimo paziente in qualunque farmacia d’Italia), il farmacista potrà allertare il medico di famiglia che, a sua volta, provvederà a sollecitare il paziente ad un rispetto preciso del piano terapeutico», spiega Marco Cossolo.
Terzo ed ultimo pilastro su cui costruire la “farmacia di relazione” è il monitoraggio del paziente cronico. «Una terapia potrebbe, dopo un certo periodo di assunzione, non essere più sufficiente o adatta alla stabilizzazione del paziente cronico. In questo caso, il farmacista – commenta il presidente di Federfarma – potrebbe essere il contatto più prossimo al malato, in grado di attivare i controlli necessari nell’attesa che il piano terapeutico venga riadattato dal medico curante. Innanzitutto attraverso le analisi e le autoanalisi che, grazie alla legge di bilancio, è già possibile effettuare in farmacia. Poi con l’ausilio della telemedicina e, infine, prevedendo nei PDTA (Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali) eventuali accertamenti che il farmacista può compiere, impegnandosi a dare notizia immediata dei risultati al medico di medicina generale».
Che un modello di farmacia, che va oltre la semplice dispensazione del farmaco, avrebbe potuto dare un contributo ancora superiore a quello che già ha dato in questa emergenza per garantire ai cittadini l’accesso alle cure è il parere espresso anche dall’onorevole Mandelli. Ma per il presidente FOFI tra i nodi da sciogliere c’è anche il potenziamento della rete ospedaliera. «Le vaccinazioni anti-Covd somministrate in farmacia hanno mostrato l’efficacia della collaborazione tra farmacista ospedaliero e farmacista di comunità. Un modello che potrebbe essere replicato anche per alcune tipologie di farmaci ospedalieri che, dopo le prime somministrazioni, potrebbero essere dispensati pure nelle farmacie territoriali».
Il ruolo centrale del farmacista durante l’emergenza Covid è stato sottolineato anche da Arturo Cavaliere, presidente SIFO: «I farmacisti ospedalieri, nello specifico, sono stati protagonisti nei trial clinici per il Covid-19, nella gestione dei vaccini, nella pubblicazione delle corrette istruzioni operative vaccinali, che sono state riferimento per tutta la comunità nazionale. Oggi l’obiettivo di un nuovo rapporto tra ospedale e territorio si raggiunge proprio attraverso una rinnovata relazione tra farmacisti ospedalieri e farmacisti di comunità. Per questo ritengo che proprio nell’ottica di un “virtuoso fare rete” sia arrivato il momento di una rivisitazione del Prontuario della distribuzione diretta (PHT) annuale, proposta che già negli anni scorsi – conclude Cavaliere – era stata avanzata proprio da Andrea Mandelli».
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