Mancano 63mila professionisti. La presidente della Federazione: «Il 60% degli infermieri neolaureati vorrebbe accedere ad un percorso magistrale che offra una specializzazione in ambito clinico. Garantirgliela è nostro dovere»
Gli infermieri che operano nel sistema sanitario nazionale sono circa 260-270mila. Una cifra sufficiente a rispondere ai bisogni di salute dei cittadini? Se prima della pandemia potevano esserci schieramenti di favorevoli e contrari, ora non ci sono dubbi: il Ssn ha bisogno di più personale infermieristico, così come necessita di un numero maggiore di medici specialisti. Secondo FNOPI mancano 63mila infermieri e senza una soluzione alla carenza di organico chi rischia di più è l’assistenza, ma anche l’applicazione del PNRR che punta tutto sull’assistenza territoriale.
La questione medica si è in parte risolta con un aumento dei posti disponibili presso le varie Scuole di Specialità, con un incremento maggiore nelle aree che più soffrono di carenza del personale, come quella della anestesia e rianimazione. Di conseguenza, per una proprietà transitiva, verrebbe da pensare che anche la questione infermieristica potrebbe essere risolta aumentando il fabbisogno di posti accademici a bando. E invece le cose non stanno proprio così. Almeno, non per la FNOPI, la Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche.
«Prima di aumentare i posti per aspiranti infermieri negli atenei italiani – spiega a Sanità Informazione la presidente della Federazione, Barbara Mangiacavalli – bisognerebbe verificare che il sistema universitario sia in grado di garantire una formazione di qualità, partendo da un adeguamento del numero di insegnanti per ogni studente iscritto alla facoltà di Scienze Infermieristiche. Oggi, su un totale di 9mila insegnanti (associati e ordinari) alla facoltà di Medicina e Chirurgia, solo 43 sono infermieri, tra cui 9 ordinari, 18 associati, un ricercatore a tempo indeterminato, 5 ricercatori tipo A e 10 ricercatori tipo B. Ciò crea un rapporto insegnanti/studenti di 1:1.000. Ovvero un insegnante ogni 1.350 studenti, mentre per altre discipline mediche il rapporto è di 1:6. A che serve aumentare il numero degli infermieri se, poi, questi non sono adeguatamente preparati ad affrontare le difficoltà del mondo del lavoro?», chiede Barbara Mangiacavalli.
«Non è possibile porsi il problema della carenza di personale infermieristico ogni 15 anni – sottolinea Mangiacavalli -. Piuttosto, sarebbe meglio intervenire in modo programmatico, attraverso un lavoro sinergico tra la nostra Federazione, i Ministeri competenti (Salute e Miur) e la Conferenza Stato-Regioni. Quali saranno i bisogni di salute tra 10-15 anni è prevedibile sin da ora: i dati epidemiologici ci indicano che tra i problemi più urgenti ci saranno il decadimento cognitivo, le demenze e le patologie correlate ai disturbi neuro-cognitivi e all’invecchiamento della popolazione».
Ma non è tutto. «Il nostro Ssn non ha bisogno semplicemente di infermieri, ma anche di professionisti specializzati. Il 60% dei giovani laureati alla triennale – racconta la presidente FNOPI – prova ad accedere alla laurea magistrale confidando in una specializzazione che offra una preparazione di tipo clinico, in un approfondimento di competenze assistenziali clinico-specialistiche in ambito territoriale, dell’emergenza-urgenza, in area medica, chirurgica e pediatrica. E noi abbiamo il dovere di garantire un’offerta formativa di questo tipo. Un dovere professionale e morale verso colleghi infermieri che, a differenza della nostra generazione, una volta entrati nel Ssn vi rimarranno per quarant’anni. Provvedere a questa carenza di formazione specialistica vorrà dire anche adeguare i conseguenti incarichi professionali che ne deriveranno, non tanto in termini contrattuali, ma di responsabilità ed autonomia. Temi di cui il Ssn deve tener conto se veramente vuole innovare la sua struttura, altrimenti – conclude – si finirebbe, ancora una volta, per compiere innovazioni solo di facciata».
La FNOPI ha avanzato alcune proposte diversificate tra loro su assi a breve, medio e lungo termine per far fronte alla carenza di professionisti con particolare attenzione a residenzialità privata e convenzionata e alle aree interne e disagiate. Il documento diventerà elemento ulteriore di interlocuzioni politiche e istituzionali della Federazione.
A breve termine «c’è ad esempio il superamento del vincolo di esclusività che oggi lega l’infermiere nel rapporto di lavoro con il servizio sanitario pubblico e la possibilità di esercizio libero professionale a supporto delle strutture sociosanitarie territoriali – si può leggere in una nota della Federazione –. Poi possono essere previsti progetti finalizzati a garantire il supporto in termini di prestazioni di assistenza infermieristica da parte delle Aziende Sanitarie alle strutture residenziali territoriali, con attività svolta al di fuori dell’orario di servizio e remunerata a parte. Altra norma da rivedere – si legge ancora – è quella di percorsi di incentivazione per “distacchi” o “comandi” dall’azienda sanitaria ospedaliera verso le strutture sociosanitarie territoriali, favorendo il riavvicinamento territoriale del dipendente considerata la residenza. E infine favorire l’accreditamento delle strutture sociosanitarie quali sedi di tirocinio dei corsi di laurea in infermieristica per potenziare le possibilità di svolgimento di tirocini curricolari da parte degli studenti del triennio quale strumento per lo sviluppo culturale in tale setting».
Per quanto riguarda invece il medio termine «si dovrebbero ridefinire le regole di accreditamento delle strutture in relazione all’evoluzione dei bisogni dei cittadini; valorizzare la professione infermieristica nelle strutture socio sanitarie territoriali; prevedere uno sviluppo in chiave clinica per attualizzare la necessaria maggiore pertinenza alla complessità e tipologia assistenziale di carriera e sotto il profilo gestionale; adeguare i contingenti formativi e valorizzare le competenze economicamente e sotto l’aspetto della responsabilità e dell’autonomia».
A lungo termine, conclude il documento, «si dovrebbe favorire il rientro degli infermieri italiani emigrati all’estero con incentivi in termini contrattuali ed economici. Attualmente si calcola che lavorino all’estero circa 20.000 infermieri italiani».
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