Lavoro e Professioni 20 Aprile 2020 10:34

«Io proteggerò la tua vita e la tua dignità»: il “Manifesto deontologico” degli infermieri per l’emergenza COVID-19

«Bisogna investire per far diventare permanente la percezione sociale del ruolo dell’infermiere, fatta anche del contenuto etico della professione» afferma la presidente FNOPI, Barbara Mangiacavalli. Ecco gli undici impegni degli infermieri per i cittadini

«Non eroi, ma professionisti scientificamente, responsabilmente e deontologicamente preparati.  E i cittadini devono saperlo: quella dell’infermiere è una visione del bene collettivo che prevale su quella dell’interesse individuale».

Con queste parole la Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), a un anno dal varo del nuovo Codice deontologico degli infermieri,  ha stilato il “Manifesto deontologico” per la pandemia COVID-19, perché, si legge nel documento, «in un momento di difficoltà estrema, nel quale tutto sembra diventare impervio e nel quale più forte, e giustificata, è la tentazione di semplificare, crediamo che le qualità professionali e deontologiche degli infermieri possano e debbano essere portate in primo piano, praticate, comunicate ai cittadini».

LEGGI IL MANIFESTO DEONTOLOGICO PER L’EMERGENZA COVID-19

Gli infermieri non hanno dubbi e lo scrivono a chiare lettere: «Il racconto, oggi così enfatizzato, dell’eroismo dei professionisti della sanità, domani potrebbe diventare un ricordo, superato da nuovi argomenti, da conflitti, dalla superficialità della comunicazione. Bisogna allora investire per far diventare permanente la percezione sociale del ruolo dell’infermiere, fatta anche del contenuto etico della professione» afferma la presidente FNOPI, Barbara Mangiacavalli.

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«Allora ecco che entrano in gioco per COVID-19 alcune regole deontologiche che in questo momento sono più reali che mai.

Ecco gli undici impegni degli infermieri per i cittadini:

  1. Il momento della maggiore difficoltà: come prescrive anche il Codice deontologico, è indispensabile essere socialmente presenti e attivi, diffondere le corrette conoscenze, far comprendere che la salute non è questione riducibile all’emergenza, ma viene da molto prima e si proietta nel futuro.
  2. Conoscenze scientifiche: sono indispensabili, non come esercizio intellettuale, ma come strumento per la vita delle persone. La riorganizzazione delle attività, dei reparti, dei percorsi, la redistribuzione del personale, deve acquisire velocemente competenze nuove o approfondire quelle già possedute.
  3. Relazione di cura: nella pandemia c’è una scarsa possibilità di conoscere chi è assistito per instaurare un rapporto di fiducia che però diventa patrimonio dell’essere professionista. Essere riconosciuti passa dagli sguardi e dalle mani, dall’esserci e dal gesto di cura, il tempo che gli infermieri passano con chi assistono non è basato sulla quantità a sull’intenzionalità: assistiti e familiari vedono e sentono che non sono lasciati in abbandono.
  4. Percorso di cura: sguardi pieni di domande e domande piene di paure. Questo è lo scenario con cui oggi l’infermiere si rapporta con i suoi assistiti e spesso anche con i colleghi. Accogliere queste emozioni è una componente fondamentale nel percorso di cura: l’epidemia ha tolto certezze. Il costo (in rischi e salute) dell’ascolto si mitiga con il risultato di benessere per chi ha a fianco l’infermiere. Fare tutto il possibile, sempre: è tutto quello è richiesto agli infermieri che sapranno quando e dove, nel caso, cercare sostegno.
  5. Informazione: per l’equipe è complesso assolvere al dovere di garantire le informazioni necessarie. Sono difficoltà in più, da affrontare, con motivazione, anche quando le comunicazioni sono drammatiche. L’infermiere si assicura che l’interessato o la persona di riferimento, riceva informazioni sul suo stato di salute precise, complete e tempestive.
  6. Riservatezza: si tutela non solo nelle carte, ma anche negli spazi, nella sottrazione agli sguardi, nella massima considerazione possibile, nelle condizioni date, delle esigenze quotidiane degli assistiti.
  7. Comunicazione scientifica ed etica: non solo l’infermiere può essere un esempio personale di prudenza e correttezza ma può diventare un riferimento per i cittadini, nella loro esigenza di essere informati correttamente e senza accedere a fonti avvelenate.
  8. Dolore e palliazione: l’attenzione in COVID-19 si fa necessariamente alta e l’infermiere è l’interlocutore essenziale delle persone assistite, per garantire quel sollievo che sembra ancora così difficile da ottenere.
  9. Organizzazione e formazione: riorganizzazione dei percorsi e formazione del personale rispetto all’area intensiva e al rischio infettivo sono di matrice infermieristica. L’adozione di protocolli operativi a tutela di équipe e persone, che possano essere riprodotti in sicurezza, sono un dovere professionale: l’apporto clinico, consulenziale e organizzativo vede la professione infermieristica lucida e competente, come parte integrante e proattiva del sistema.
  10. Documentazione clinica: l’infermiere ne è responsabile anche nelle condizioni estreme, non per un culto della formalità, ma perché nella documentazione clinica ci sono l’esperienza della persona assistita e quella maturata dagli operatori e dalle strutture.
  11. Linee guida e buone pratiche: le due componenti interagiscono, e sono il presupposto per un superamento della situazione. Il rispetto dei criteri scientifici di approccio alle cure, la valorizzazione della migliore esperienza per aggiornarli, con consapevolezza, competenza, dinamismo, sguardo fermo sul bene delle persone assistite e della collettività: l’infermiere vigila sulla loro corretta applicazione, promuovendone il continuo aggiornamento».

 

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