Marulli (logopedista): «Qualunque sia l’età di insorgenza dell’ipoacusia, l’efficacia del trattamento riabilitativo è strettamente legato alla tempestività della diagnosi: prima si interviene e maggiori saranno le possibilità di successo». Il percorso riabilitativo è un lavoro di squadra che coinvolge paziente, sanitari e familiari
In Italia 7 milioni di persone hanno problemi di udito. Secondo i più recenti dati l’Oms oltre il 5% della popolazione mondiale ha una riduzione dell’udito che incide qualità della vita. In base all’epoca di insorgenza l’ipoacusia può essere presente alla nascita o insorgere successivamente allo sviluppo del linguaggio.
«Qualunque sia l’età di insorgenza, l’efficacia del trattamento riabilitativo è strettamente legato alla tempestività della diagnosi: prima si interviene e maggiori saranno le possibilità di successo – spiega Matilde Maria Marulli, logopedista, referente del Polo Sordità del Centro Ricerca e Cura di Roma -. Oggi è possibile effettuare una diagnosi di ipoacusia fin dai primi giorni di vita, attraverso lo screening uditivo neonatale. Si tratta di un’indagine di breve durata e non invasiva, che può essere eseguito anche durante il sonno spontaneo, inviando al bambino stimoli acustici di diversa intensità».
«In rapporto all’eziologia, le ipoacusie (che variano da sordità, lieve, media, grave e profonda) sono classificate in genetiche o ereditarie e acquisite. Le prime sono legate ad un’anomalia cromosomica, mentre nel secondo caso le cause sono molteplici: vascolari, degenerative, autoimmuni, tumorali, iatrogene – continua Marulli – . Nel caso l’ipoacusia venga rilevata già durante lo screening neonatale la famiglia sarà inserita in un inter valutativo per stabilire il successivo percorso riabilitativo da seguire».
L’intervento riabilitativo del paziente con ipoacusia neurosensoriale favorisce la riduzione del disturbo, l’inserimento scolastico e sociale dell’individuo ed è orientato al più completo sviluppo delle sue potenzialità. «L’ipoacusia è un disturbo dalla natura evolutiva. Per questo – spiega Lidia Barbati, psicologa specializzata in Neuropsicologia e Psicoterapia del Centro Ricerca e Cura di Roma – è necessario effettuare un intervento precoce e strutturare, in base ai risultati emersi dalla valutazione, un percorso individualizzato che tenga conto dell’età cronologica ed uditiva, della fascia di scolarizzazione, delle abilità compromesse e del contesto sociale di cui l’utente fa parte, ovvero se i suoi familiari sono segnanti-non udenti o udenti».
Superata la prima fase di valutazione si passerà successivamente alla pratica. «Il progetto riabilitativo deve prevedere una chiara definizione delle abilità che si intendono migliorare e un’esplicitazione sia delle tecniche e dei materiali che verranno utilizzati, che del protocollo di intervento (numero di interventi e frequenza). Infine, saranno indicati i risultati attesi», aggiunge Barbati. Al percorso riabilitativo prenderanno parte numerose figure, medici e professionisti sanitari: tecnico audiometrista, audiologo, otorinolaringoiatra, audioprotesista, neuropsichiatra infantile, psicologo, psicoterapeuta, logopedista e terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva.
La presa in carico non è limitata solo al piccolo paziente: il percorso coinvolge, a vari livelli, il nucleo familiare e, principalmente, i genitori (o il caregiver). «Questa presa in carico globale prevede l’accompagnamento della coppia genitoriale alla comprensione della diagnosi e all’utilizzo di uno stile educativo adeguato alle esigenze del bambino. Infine – conclude Barbati -, viene condotto anche un intervento psicoeducativo mirato a sostenere i genitori nella gestione degli aspetti comportamentali del bambino».
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