L’avvocato Luca Bolognini: «Necessario un bilanciamento per supportare la spinta all’innovazione senza perdere di vista l’etica del trattamento dati»
L’utilizzo dei big data in sanità pone la società e i decisori pubblici sempre davanti a nuove sfide: dall’esigenza di bilanciarne le molteplici potenzialità con il rispetto della normativa sulla privacy, all’importanza di metterli a sistema e renderli fruibili su più livelli in ottica One Health di salute comune, senza travalicare i limiti posti dall’etica. Questi i temi cardine attorno a cui è ruotato il IV Congresso Big Data in Health, dal titolo “Global Health. Policies, security and ethics”.
La visione olistica One Health consiste in un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse: salute umana, salute animale e salute dell’ecosistema interagiscono e sono indissolubilmente legate. Il modello One Health è quindi propedeutico al raggiungimento di un obiettivo di salute globale, e in questo quadro la gestione efficace dei big data gioca un ruolo essenziale nel proporre direzioni future e un bilanciamento tra rispetto della privacy individuale e interesse della comunità.
Il congresso ha introdotto il tema con una panoramica sullo stato dell’arte del dato nel nostro Paese, le cui potenzialità sono state contemporaneamente lanciate e messe a dura prova dagli eventi pandemici, come ha sottolineato Lorenzo Sornaga (LazioCrea): «Se la Regione Lazio ha affrontato in modo performante le criticità della pandemia, è stato perché abbiamo sempre lavorato mettendo il paziente e il dato al centro del nostro sistema, dalle prime fasi con i tamponi fino alla campagna vaccinale. Ora, attraverso il PNRR sarà importante implementare le potenzialità dei dati di interagire tra loro ed essere integrati».
«Stiamo andando verso il fascicolo 2.0, inquadrato sul dato, che supera il fascicolo sanitario elettronico tradizionale – aggiunge Paolo Colli Franzone, esperto in sanità digitale – che altro non è che una raccolta di file pdf. Il fascicolo 2.0 conterrà dati ed insieme le piattaforme necessarie ad estrarli e catalogarli, per renderli utili anche, in forma anonima e nel rispetto delle normative sulla privacy, a fini di ricerca e sperimentazione. In sintesi il digitale c’è, ma ora bisogna renderlo davvero fruibile, e i fondi del PNRR sono un’occasione unica per farlo».
«In ottica One Health c’è più che mai necessità di rendere il dato accessibile – sottolinea Maria Luisa Chiusano, biologa molecolare all’Università di Napoli Federico II -. Abbiamo ancora un capitale umano piuttosto ridotto per gestire questa mole di lavoro, ma soprattutto dobbiamo rendere questi dati fruibili anche a chi non ha fatto ricerca, ma si occupa di altri campi: data providers, data users, stakeholder e policymaker. Il futuro imprenditore deve attingere ai dati corretti. E dobbiamo rendere il mondo medico pronto ad assorbire quello che la ricerca scientifica fa, attraverso un continuo aggiornamento che faccia da ponte tra il dato primario e il suo utilizzo secondario».
«Il passaggio da One Health a One Digital Health necessita dell’integrazione dei vari contesti – fa eco Roberto Triola (Farmindustria) -. Abbiamo necessità di raccogliere ed elaborare dati in maniera sistematica e standardizzata, dati che devono essere big, smart, e fruibili. L’obiettivo è perseguire una visione olistica che tenga insieme tutti gli ambiti, perché solo questo approccio ci consentirà di rendere il sistema sanitario più sostenibile».
Punto focale del congresso, l’importanza di un approccio etico all’utilizzo dei dati: una questione cruciale ben illustrata dall’avvocato Luca Bolognini (ICT Legal Consulting), esperto in materia di trattamento e protezione dati. «L’attuale disciplina dei dati a livello di privacy è regolamentata a livello europeo, ma i singoli Stati hanno anche delle normative aggiuntive e un discreto campo di manovra per quanto riguarda i dati in materia sanitaria e di ricerca scientifica. Ed è chiaro – sottolinea Bolognini – che in questa cornice molto attiene alle emergenze sanitarie».
«In Italia difettiamo di un aspetto importante, di cui siamo in attesa, e cioè di provvedimenti integrativi del Garante per la protezione dei dati personali proprio per quanto riguarda i dati relativi alla salute (genetici e biometrici) e la ricerca scientifica. Il concetto di etica applicato ai dati rientra nel rispetto di quei diritti fondamentali che tutelano l’essere umano. Per applicare diritti etici – suggerisce il giurista – basiamoci sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e rendiamola una check list. Ogni singolo diritto e libertà inviolabile può diventare un requisito che nessun nuovo progetto o iniziativa in campo di Big Data del settore sanitario può ignorare. Da qui le grandi sfide in tema di bilanciamento di diritti che vedono in gioco nuovi stakeholders portatori di nuovi valori, collettivi e individuali, e non è sempre detto che i secondi debbano prevalere sui primi, anzi gli interessi della collettività sono destinati a pesare sempre di più, così come la sfida sull’uso secondario del dato a fini di ricerca scientifica e, soprattutto – conclude Bolognini – sul rendere compatibili queste norme sulla protezione dei dati con la spinta verso l’innovazione».
«I dati devono avere una finalità di bene comune – sottolinea infine Francesca Moccia (CittadinanzAttiva) -. Sappiamo che in alcuni casi prevale il bene collettivo sul diritto individuale, ma in altri casi questi ultimi sono inderogabili. Per quanto riguarda i diritti digitali, la rete implica una nuova produzione di norme, che incida sulle stesse fonti che le producono, dal diritto internazionale a quello interno, per costruire una sovranità collettiva sui dati personali e algoritmi. I cittadini hanno diritto all’innovazione in sanità, alla personalizzazione dei trattamenti, all’informazione. Ecco perché l’uso del dato è un diritto, una vera e propria fattispecie del diritto alla salute in un ambito di giustizia sociale che va riconosciuta».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato