In occasione della presentazione del libro bianco di Fondazione Onda “Covid-19 e salute di genere”, i protagonisti della scienza, della politica e delle istituzioni hanno spiegato come la donna sia stata vittima della pandemia e della società, ma con resilienza saprà riscattare il suo ruolo
Donne due volte vittime: della pandemia e della società, ma capaci di essere resilienti e pronte ad acquisire un nuovo ruolo nella società e nella sanità. Nella giornata internazionale contro la violenza di genere, Fondazione Onda ha presentato il libro bianco 2021 su “Covid-19 e salute di genere”, e ha evidenziato come il peso della pandemia abbia gravato maggiormente sulla donna, rendendola però più forte e resiliente. «Oltre alle conseguenze sanitarie, economiche e sociali della pandemia, abbiamo focalizzato l’attenzione sulle sfide che ne sono nate e che hanno portato a una vera e propria sindemia, ovvero l’insieme dei problemi di salute, ambientali, sociali ed economici che si sono generati e dove le donne sono state protagoniste e vittime al tempo stesso», ha commentato all’avvio Francesca Merzagora, Presidente di Fondazione Onda.
Se in ambito sanitario gli effetti del virus hanno fatto registrare nell’uomo un tasso di mortalità quasi doppio rispetto alle donne (17,7% contro il 10,5%) e forme più gravi (56,3% contro il 46,3%), la malattia in realtà ha colpito maggiormente l’emisfero femminile (51%) così come gli effetti del long Covid. «Le ragioni di queste differenze che alla distanza penalizzano di più le donne vanno ricercate nella genetica – ha analizzato Maria Grazia Modena, professoressa ordinaria dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia durante la tavola rotonda -. La donna è più predisposta alle malattie autoimmuni, ma è più protetta rispetto all’uomo perché seppur più esposta sul lavoro (sono in prevalenza tra gli operatori sanitari e caregiver familiari), ha comportamenti più corretti; infatti, ancora oggi il consumo di alcol e di sigarette è appannaggio degli uomini».
La situazione generata dal Covid ha colpito le donne sotto molti aspetti che vanno oltre la sfera sanitaria. In particolare, sono aumentati gli episodi di violenza domestica, come confermato dai dati della rete nazionale antiviolenza D.I. Re, secondo cui tra il 2 marzo e il 5 aprile 2020 si è verificato un incremento del 74,5 per cento di richieste di aiuto. Molteplici le cause: dalla presenza costante di un partner violento, ad una mancanza di autonomia economica al punto da rendere le donne tra i soggetti fragili della pandemia al pari di bambini e anziani, come ha sottolineato nel suo intervento il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri. «Le donne sono rimaste a casa con i figli, in smart working e questo ha pesato molto sulla loro quotidianità – ha detto -. Non solo, hanno subito la crisi economica della pandemia, molte sono finite in cassa integrazione, altre licenziate nonostante vigesse il blocco dei licenziamenti».
Le statistiche hanno mostrato numeri impietosi: nel 2020 solo nel mese di dicembre le donne hanno raggiunto l’apice della perdita con 99 mila posti persi su 101 mila totali. Mentre coloro che hanno usufruito dello smart working hanno avuto un allungamento dei tempi di lavoro del 57 per cento contro il 50,5 per cento degli uomini. «Dati che hanno dimostrato come le donne siano state capaci di essere resilienti – ha ripreso Sileri – ed è proprio dalla resilienza manifestata dalle donne in questa emergenza sanitaria, e non solo, che dobbiamo trarre gli spunti per migliorarci e fare di più andando ad incrementare e potenziare la ricerca, la formazione, la professionalità, e la parità di genere. Questi credo siano gli insegnamenti su cui riflettere e lavorare negli anni a venire affinché nella sanità, che oggi conta il 70 per cento di donne in particolare nell’ambito infermieristico, vengano affidati anche ruoli apicali in professioni fino ad oggi riservate quasi esclusivamente agli uomini, come medici chirurghi o direttori sanitari. Il cambiamento è in atto e la transizione è visibile frequentando le università. Mi auguro pertanto che nei prossimi anni anche nell’ambito sanitario si possano vedere donne ai vertici, con contratti non precari e con condizioni economiche più vantaggiose come accade in altri Paesi».
«Serve una terapia d’urto – ha rilanciato l’onorevole Rossana Boldi, vicepresidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati durante la tavola rotonda -. Oggi si parla di gender gap perché le donne italiane hanno stipendi bassi, lavoro precario e un livello occupazionale sotto la media europea (53% contro il 67%). La stessa Europa ha dato le linee guida per uscire da questa situazione che ci vede, con la Spagna, destinatari di circa la metà dei fondi del PNRR dedicati al piano di resilienza europeo. Questo significa che ci saranno le risorse per fare percorsi formativi che tengano conto della transizione ecologica, che facciano in modo di superare i contesti che limitano la capacità produttiva della donna e per favorire l’imprenditoria femminile».
Il Covid ha insegnato dunque il ruolo centrale della salute nella società e le potenzialità della donna: forte e resiliente. Due elementi che nella ricerca rappresentano già un binomio vincente. «L’innovazione è donna – ha rimarcato nel suo intervento Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria –. Sono state le instancabili protagoniste del nostro settore ed hanno dato un contributo fondamentale per arrivare alla scoperta dei vaccini e delle terapie anti-Covid. Non solo, sono il motore delle nostre imprese dove rappresentano il 52 per cento degli addetti con ruoli apicali nel 43 per cento dei casi. Un successo che è dovuto in parte anche ad un modello innovativo di welfare che permette di conciliare lavoro, genitorialità e formazione».
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