Michele Ritucci, infermiere italo-britannico, era a Dnipro per studiare medicina. È rientrato due settimane prima del conflitto solo grazie all’insistenza dei genitori. «Sono in contatto con gli studenti in Ucraina, hanno paura ma non hanno intenzione di piegarsi»
«Gli ucraini mi dicevano che era tutto tranquillissimo e che non ci sarebbe mai stata la guerra. Seppur controvoglia, ho dato ascolto ai miei genitori e due settimane fa sono tornato in Italia. Ma quando ho saputo dell’inizio del conflitto sono rimasto sotto shock». È stato fortunato Michele Pio Ritucci, infermiere intensivista che fino a poche settimane fa si trovava insieme alla sua compagna a Dnipro, sudest dell’Ucraina, centro dell’industria militare della ex repubblica sovietica. Michele si trovava in Ucraina perché studente di Medicina nella locale università: era giunto lì la scorsa estate dopo che a Leicester, nel cuore dell’Inghilterra, aveva affrontato il periodo più difficile del Covid nelle terapie intensive. Ora è tornato a Termoli, in Molise, appena in tempo per evitare il conflitto.
«Fosse stato per me, non sarei mai tornato in Italia, perché ad ascoltare i locali era tutto normale – spiega il giovane infermiere -. Andava tutto a gonfie vele. Nessuno era preoccupato, erano abituati a queste tensioni. Studiavo medicina ma insegnavo anche inglese. I miei studenti mi dicevano che è una storia che va avanti dal 2014, che i media stavano esagerando la portata dello scontro con titoli sensazionali. Tutti mi dicevano: “Siamo la stessa gente, molti ucraini hanno parenti in Russia e viceversa, non succederà nulla”».
Le cose tuttavia stavano per cambiare. A Michele, che è cittadino italo-britannico, arriva una nota informativa da parte del governo britannico che chiedeva ai suoi concittadini di lasciare l’Ucraina perché la situazione si stava complicando.
«I locali continuavano ad essere tranquilli e non capivano perché gli stranieri iniziassero ad andare via. I miei genitori, però, dall’Italia mi dicevano: ‘Non hai visto il telegiornale? La situazione sta peggiorando’. Così, dato che le lezioni di medicina si svolgevano già online per il Covid, mi convinsi a tornare in Italia».
Michele aveva scelto la scuola medica ucraina, riconosciuta a livello internazionale, perché riconosceva molti titoli accademici ed esperienza pregressa. «Dopo il periodo di lavoro in terapia intensiva, mi sono detto: voglio fare di più per i pazienti. È il momento di diventare medico». Così la scorsa estate arriva a Dnipro. Un’esperienza felice quella ucraina: «Ho imparato a leggere il cirillico, ho visto posti bellissimi. La guerra è una disgrazia».
Le notizie dei primi bombardamenti sono state uno shock per Michele. «Quando ho sentito che le strade per l’aeroporto di Kiev erano bloccate e che lo scalo era stato bombardato ho avuto i brividi, da quell’aeroporto sono passato tante volte. Ora sono in contatto con i miei studenti di inglese e con altri amici italiani che sono ancora là. Mi dicono che hanno paura ma da buoni ucraini sono pronti a resistere e non vogliono piegarsi».
Mentre l’Ucraina è precitata nel dramma della guerra, Michele vede interrotto il suo sogno di diventare medico dato che i corsi sono stati sospesi per il conflitto. E lancia un appello alle istituzioni italiane: «Sto cercando disperatamente qualcuno che mi possa aiutare a capire se in una situazione di emergenza come questa ci sarà possibilità di continuare gli studi nel mio Paese. Non mi dispiacerebbe completare il corso di studi in Italia e poi rimanere qui come medico, amo il mio Paese».
Iscriviti alla Newsletter di Sanità Informazione per rimanere sempre aggiornato