L’Ansa ha raccolto la testimonianza di un camice bianco che lavora a chiamata in un Ps del Veneto. Anaao insorge e diffida Asl: «No ai neolaureati nei Ps. Va impedita perchè mette a rischio la vita dei pazienti e riduce la sicurezza delle cure»
Questa è la storia di un medico, come tanti altri, ma dalla storia particolare. Una storia di precariato sempre più spinto che, applicato alla professione medica, deve far riflettere sul funzionamento del nostro Sistema sanitario.
La protagonista è Anna, nome di finzione usato per tutelare l’identità della dottoressa, medico a gettone che lavora nei Pronto soccorso degli ospedali su chiamata. «Sono un medico a gettone, gli ospedali mi chiamano quando hanno bisogno – racconta la dottoressa all’agenzia Ansa – Il mio contratto prevede che mi occupi di urgenze minori in Pronto soccorso ma di notte siamo in due, e se il medico strutturato deve uscire per accompagnare un paziente grave in un altro ospedale, io resto da sola ad affrontare anche emergenze gravi. E non sono preparata adeguatamente, non sono specializzata, è pericoloso sia per i pazienti che per me».
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Anna ha raccontato l’angoscia che prova ogni volta che esce di casa per andare a lavorare in un pronto soccorso del Veneto dove ha avuto un contratto a chiamata. «Con poche richieste al mese praticamente guadagno più di un medico con contratto. Mi danno 500 euro lordi per un turno di 12 ore. Ma non ho copertura previdenziale, non sono previsti ferie o malattia e pago da me una polizza assicurativa calibrata sul rischio professionale del mio contratto», racconta.
Una vita da precaria, quella di Anna, che non riesce neppure a immaginare il suo futuro: «Non mi posso lamentare, allo stipendio ci arrivo perché mi cercano anche per fare guardie mediche e sostituzioni di medici di base. Ma quando esco per andare in Pronto soccorso mi spaventa quello che mi aspetta e sento il peso del rischio che corro. Vivo la precarietà e l’insicurezza, non riesco neppure a immaginare il mio futuro».
La presenza di neolaureati non specializzati non piace ai sindacati. «La fotografia dei medici dei Pronto soccorso italiani è quella di un campo di battaglia», sottolinea l’Ansa. Da Nord a Sud sono rimasti talmente in pochi che le Asl ricorrono agli appalti a cooperative e società per coprire i turni. Arrivano camici bianchi che le aziende ospedaliere non hanno modo di valutare, spesso senza nessuna specializzazione, o che non hanno mai messo piede in un reparto d’emergenza. Il problema sta diventando talmente grave da indurre il maggiore dei sindacati medici italiani, l’Anaao Assomed, a ricorrere alle diffide ad Asl e regioni di tutto il Paese per fermare i contratti a chiamata.
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«La presenza di neolaureati senza pratica clinica in Pronto soccorso e sulle ambulanze è un fatto gravissimo, illegale e va impedito perchè mette a rischio la vita dei pazienti e riduce la sicurezza delle cure» sottolinea il segretario regionale dell’Anaao Veneto dell’Anaao Assomed Adriano Benazzato. «A partire è stato il Veneto nel 2016, ma ora si è diffusa in tutte le regioni la pratica dei camici bianchi con contratti libero professionali», spiega Benazzato, «è una pratica incostituzionale, illegale, che le Asl non possono continuare a seguire perchè viola la legge dello Stato che obbliga ai concorsi per l’impiego nel pubblico. Il ricorso a quel tipo di contratto è stato dichiarato illegittimo anche dal Consiglio di Stato». Intanto se il Veneto è nei guai, il Lazio certo non ride e specialmente nei Pronto soccorso fuori Roma la situazione è diventata insostenibile.
Situazioni analoghe nel Lazio, dove Anaao ha diffidato la direzione amministrativa dell’Asl Roma 5 Tivoli in seguito alla delibera, «al fine di scongiurare l’interruzione di pubblico servizio», per l’appalto di affidamento del servizio di turni di pronto soccorso. Particolarmente critica anche la situazione in Piemonte, il segretario regionale Anaao Chiara Rivetti racconta: «Come sindacato siamo stati chiamati da alcuni neolaureati (solo abilitati) molto allarmati perchè nonostante fossero stati reclutati per urgenze minori (codici bianchi e verdi) si sono ritrovati a dover affrontare emergenze più gravi, anche codici rossi».