La Presidente dell’Associazione Ospedalità privata contesta la legge voluta dal governo Monti che blocca i tetti di spesa per il privato accredito: «Per noi è una legge incostituzionale». Sui contratti bloccati, a partire da quello dei medici, spiega: «Dopo quanto successo con il comparto, stiamo aspettando che il governo rinnovi le tariffe»
Contratti, Legge di Bilancio, carenza di personale sanitario. Sono tanti i temi affrontati nel colloquio di Sanità Informazione con Barbara Cittadini, Presidente dell’Associazione Italiana Ospedalità Privata – AIOP. In attesa che la manovra 2022 si trasformi in un testo compiuto, la presidente AIOP promuove lo spirito degli interventi annunciati in sanità e la politica “espansiva” che emerge dal Documento programmatico di Bilancio. Cittadini torna a contestare il limite ai tetti di spesa ai volumi di attività delle strutture private convenzionate in base a una legge del 2012 che AIOP ritiene “incostituzionale” e si dice preoccupata per l’aumento vertiginoso delle liste d’attesa, peggiorate con il Covid: «Ci aspettiamo il coinvolgimento della componente di diritto privato per recuperare le prestazioni non erogate durante la pandemia».
Sui contratti dei medici e delle RSA nessuna buona notizia all’orizzonte a causa di quanto accaduto con il contratto del comparto dove, dopo la firma del rinnovo nell’autunno dello scorso anno, sei regioni non hanno tenuto fede all’impegno di rivedere i tariffari che aggiornano il costo del lavoro, rendendo di fatto vano l’accordo.
«Si vede chiaramente una politica di bilancio espansiva e di questo non possiamo che essere soddisfatti. Per troppi anni abbiamo avuto una politica di riduzione del fondo sanitario nazionale. Le riduzioni in momenti emergenziali sono doverose, se però lo stato emergenziale diventa strutturale poi deprime quantitativamente un sistema. Registriamo favorevolmente il fatto che questo documento programmatico abbia in sé una politica espansiva relativa al fondo sanitario nazionale. In linea di massima ci sono delle risorse alla ricerca scientifica, per il personale precario, per il sistema. Dobbiamo ragionare in ottica di sistema: quando migliora il sistema migliora l’offerta che si dà ai cittadini. La crescita del sistema ha una ricaduta positiva sul sistema nel suo complesso e questo coinvolge anche la componente di diritto privato del SSN».
«Questa delle liste di attesa è una esigenza del paese. Abbiamo registrato decenni di tagli lineari ai budget. Proprio lì dove aumentavano a dismisura le liste di attesa, aumentava la mobilità sanitaria non fisiologica e mi riferisco soprattutto alle regioni in piano di rientro. Voglio ricordare che è ancora in vigore una legge, il DL 95 del 2012, che blocca la spesa per la componente di diritto privato al 2012, meno il 2%, cioè bloccando tutto al 2009, una legge sine die che per noi è incostituzionale. È come se l’offerta fosse congelata al 2009 in tutte le regioni italiane. Ma l’invecchiamento della popolazione, l’incremento delle patologie croniche, l’aumento dell’offerta sanitaria necessiterebbe un incremento sia quantitativo che qualitativo. La spesa per la componente di diritto privato è bloccata nella migliore delle ipotesi al 2009, in alcune regioni addirittura al 2006. Questo è un fenomeno che deve essere letto bene da chi fa programmazione. Se lei va in qualunque regione che è in piano di rientro da 10-12 anni, troverà una mobilità sanitaria passiva elevata e liste d’attesa non degne di un paese civile. Quando non si può andare fuori regione e non si trova una risposta si rinuncia alle cure con un costo sociale elevatissimo».
«Si, è vero. Quella legge incostituzionale blocca i fondi. È stata fatta dal governo Monti in un periodo di emergenza, avrebbe dovuto avere un inizio e una fine. Le liste di attesa sono aumentate e aumentano anche da noi perché i nostri tetti sono bloccati. Ci aspettiamo il coinvolgimento della componente di diritto privato per recuperare le prestazioni non erogate durante il Covid».
«Con il Covid abbiamo scoperto che avevamo deospedalizzato troppo e non avevamo posti in terapia intensiva. Nella stagione dei tagli sono stati ridotti in maniera evidentemente esagerata i posti letto per acuti e quelli in terapia intensiva. Quando è scoppiata l’emergenza poi si è corsi a dotare le strutture sanitarie di questi posti letto che prima erano stati disattivati e trasformati in posti letti post acuti. La programmazione non è stata carente solo su questo fronte ma anche sulla formazione. Non è che la Lombardia non ha risorse di medici e di sanitari non medici. In realtà la programmazione universitaria, l’accesso ai corsi di laurea e soprattutto alle scuole di specializzazione non è stato lungimirante. Questo ha messo in difficoltà tutti. Siamo in una fase di snodo: i medici in organico vanno fisiologicamente in pensione e il numero di medici formati non è sufficiente a coprire gli organici sia della componente di diritto pubblico che della componente di diritto privato. Oggi stiamo assistendo a una programmazione nuova ma per formare un medico ci vogliono dieci anni. Per questo abbiamo posto in essere un accordo con lo Stato di Cuba che ci ha consentito di far arrivare in Italia delle risorse. Stiamo cercando con i ministeri coinvolti di fare un protocollo che consenta a questi medici di arrivare rispettando tutte le leggi italiane».
«Appena mi sono insediata abbiamo lavorato al rinnovo del contratto collettivo del lavoro del comparto che era scaduto da 14 anni. Non era scaduto per la mancanza di volontà da parte nostra. La voce lavoro è una componente delle tariffe e questa non veniva aggiornata. Per risolvere questo problema sia il ministro della Salute che il presidente della Conferenza Stato Regioni (all’epoca Stefano Bonaccini) hanno lavorato per trovare una soluzione. Ognuno ha fatto la sua parte: lavoratori, Stato e imprenditori. Poi siamo incappati in qualcosa che non avremmo mai immaginato: sei regioni non hanno onorato l’accordo e non hanno dato la copertura. A fronte dell’esperienza maturata, stiamo aspettando che il governo rinnovi le tariffe, così non servono più accordi particolari. Abbiamo avuto anche degli incontri preliminari per quantificare l’impatto economico del contratto Cimop e trovare una soluzione. Ma il problema è che se anche lo risolvessimo a livello centrale, c’è sempre il problema delle regioni che non onorano gli impegni assunti. La soluzione ottimale è che vengano rinnovate le tariffe, fatte da un paniere di voci, tra cui il costo del lavoro, e a quel punto i contratti si possono rinnovare».
«Vale lo stesso ragionamento. Con quale animo andiamo al rinnovo sapendo che può succedere questo? Per certi aspetti la vicenda delle RSA è ancora più complessa: per l’ospedalità esiste un tariffario nazionale e ogni regione può aumentare le tariffe ma non le può diminuire. Nelle RSA, invece, abbiamo 21 sistemi diversi, tanti quanti sono i sistemi sanitari regionali».
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