La non punibilità per colpa grave degli operatori sanitari potrebbe non essere sufficiente per scongiurare le cause. Balboni (Fdi): «Resta la responsabilità civile, la norma non dice nulla di nuovo». Recchia (Fials): «Ora serve scudo procedimentale o si tornerà alla medicina difensiva»
Lo scudo penale per gli operatori sanitari valido nel periodo pandemico è una misura accolta in modo positivo da tutto il mondo della sanità. In base all’emendamento approvato al Decreto Legge 44, i professionisti saranno punibili solo per i casi di colpa grave per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del Codice penale (omicidio colposo e lesioni personali colpose), commessi nell’esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza. Tuttavia, la misura potrebbe non bastare per mettere al riparo gli operatori da cause e contenziosi. E, soprattutto, con la fine dello stato di emergenza si potrebbe tornare alla situazione precedente, con il ritorno a quella valanga di contenziosi che affollano i nostri tribunali e che vedono protagonisti, loro malgrado, tanti professionisti sanitari.
Una prima obiezione è arrivata in Parlamento da Fratelli d’Italia e a tirarla fuori è stato il senatore ed avvocato Alberto Balboni, che ha spiegato a Sanità Informazione i rischi di una norma che a suo giudizio andava scritta meglio.
«L’articolo 3 del DL parla di non punibilità – spiega il senatore -. Per la giurisprudenza, l’esclusione della punibilità presuppone che il fatto esista e che semplicemente per ragioni esterne lo Stato in certi casi decide di non punire. La non punibilità presuppone un fatto che astrattamente è antigiuridico, ma poi in concreto lo Stato rinuncia a punirlo. La conseguenza è che su un piano civile la responsabilità rimane. Per cui, in base all’articolo 3 del Dl 44 il sanitario rimane soggetto all’azione di responsabilità civile. Noi avevamo proposto di cambiare ‘punibilità’ con ‘responsabilità’, bastava cambiare una parola. A quel punto escludere la responsabilità significava escludere in toto ogni conseguenza giuridica a carico del sanitario».
Il rischio, secondo Balboni, è che la norma resti una norma ‘manifesto’ incapace però di produrre effetti concreti. «In realtà quella norma non dice nulla di nuovo rispetto a ciò che è previsto nel nostro ordinamento giuridico – continua Balboni -. Ossia che se uno rispetta i protocolli, le regole, le linee guida non è punibile. Se non c’è reato non ci può essere la colpa. Paradossalmente la norma che è stata approvata peggiora la situazione, perché apre lo spazio a un’azione civile che invece lasciando le cose com’erano in precedenza non era possibile».
«La norma – continua Balboni – dice che è esente da punibilità per lesioni colpose o omicidio colposo il sanitario che a causa dell’emergenza non ha potuto fare tutto ciò che la buona pratica medica gli avrebbe imposto di fare. Anche qui c’è un errore giuridico concettuale grave: quella ‘causa’. Se c’è una causa che esclude la responsabilità, la norma è del tutto inutile. Parlare di causa in quell’articolo lì è molto pericoloso perché ancora una volta si apre la strada a una maggiore perseguibilità penale, perché tutte le volte in cui non c’è la causa il sanitario può essere ritenuto responsabile. Bastava togliere la parola causa, bastava dire “durante” l’emergenza».
Tutti i sindacati hanno manifestato il loro apprezzamento per lo scudo penale introdotto dal Parlamento. Tuttavia c’è chi, come la FIALS, considera lo scudo penale un primo passo per una seria tutela degli operatori a cui però ne devono seguire altri.
«Dobbiamo scongiurare il ritorno alla medicina difensiva – spiega a Sanità Informazione Gianni Recchia della Segreteria nazionale della FIALS -. Lo scudo penale è un primo passo in avanti, un provvedimento giusto e doveroso perché la limitazione della responsabilità non è più limitata ai vaccini ma a tutti i casi di colpa grave. L’obiettivo non è certamente nascondere misfatti o avere un’immunità, ma è una garanzia per gli operatori e per gli stessi cittadini».
Ora però, secondo Recchia, serve un ulteriore passo in avanti: «È necessario che dallo scudo penale si passi a uno scudo procedimentale. Quello che fa paura attualmente all’operatore è che in presenza di queste situazioni arrivi subito dal Pubblico ministero un accertamento tecnico e l’iscrizione nel registro degli indagati delle persone potenzialmente responsabili: è questo che crea grossi problemi all’interno delle strutture sanitarie perché genera tutto il grande discorso della medicina difensiva».
«Noi vorremmo che il Pubblico ministero – continua il sindacalista – nella fase antecedente allo svolgimento degli accertamenti non fosse tenuto ad iscrivere il sanitario nel registro degli indagati. Chiediamo che il Pm, nel momento in cui vi sono queste situazioni, avvisi senza ritardo tutti gli Ordini professionali interessati e nomini tramite gli Ordini un professionista come tecnico e un difensore d’ufficio, affinché si vada a fondo rispetto a quello che è avvenuto. E solo poi eventualmente mandare l’avviso nei confronti dell’operatore».
Con le riaperture e il miglioramento della situazione epidemiologica, gli ospedali torneranno a lavorare a pieno regime e saranno chiamati a recuperare le prestazioni non fornite in questi mesi di emergenza. E i casi di contenzioso rischiano di aumentare di nuovo: «Prima della pandemia molti studi legali erano attivi in questo settore – conclude Recchia -. Adesso non registriamo un aumento, ma ci sono casi limite legati ad alcune questioni emergenziali. Lo riscontriamo in modo particolare al Sud, soprattutto in Calabria e in Campania. Per questo occorre uno scudo procedimentale che vada al di là del momento contingente».
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