Lo scrittore napoletano ha raccontato i retroscena dei suoi gialli al convegno “Rischio clinico e gestione del contenzioso”. Poi, ha confessato: «Ho un figlio medico ma sono un pessimo paziente»
Chi nei giorni scorsi ha visto passeggiare per le aule di Medicina Legale dell’Università La Sapienza di Roma lo scrittore Maurizio De Giovanni, dalla cui penna sono nate le avventure del Commissario Ricciardi, deve aver pensato di aver visto solo una persona che gli somigliasse molto. Invece era proprio lui. L’autore napoletano era lì per raccontare agli studenti, nell’ambito della tre giorni organizzata dai professori Paola Frati e Vittorio Fineschi su “Rischio clinico e gestione del contenzioso” in collaborazione con Consulcesi e Sanità In-Formazione, la genesi delle sue storie, come nasce un romanzo e, soprattutto, lo stretto legame tra il Commissario Ricciardi e la Medicina Legale.
«È un bell’invito che ho accettato con grandissima gioia. Innanzitutto trovarsi all’interno de La Sapienza è molto emozionante perché è un riferimento culturale per tutto il Paese – commenta De Giovanni a Sanità Informazione -. La medicina legale è abbastanza contigua con il lavoro di un giallista. Ho la fortuna di potermi avvalere dell’aiuto di un amico medico legale nella scrittura dei miei romanzi, quindi era una cosa che volevo fare. Abbiamo approfittato per parlare d’altro, per parlare di lettura, di invenzione di storie: cose che nell’ambito di un convegno scientifico costituiscono un passo di lato, non indietro. Io mi sono divertito».
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Ai giovani studenti che lo hanno ascoltato, De Giovanni ha raccontato dei suoi inizi alquanto casuali: «Io non volevo fare lo scrittore. Ma sono sempre stato un buon lettore. Lavoravo in banca ma leggevo sempre, anche negli intervalli. I colleghi, per prendermi in giro, mi hanno iscritto a un contest letterario al Caffè Gambrinus. Scrissi questo racconto convinto che nessuno lo avrebbe mai letto. Invece il racconto vinse e fu pubblicato su un giornale. Poi lo lesse un’agente letterario ed eccomi qua».
Come spesso accade ai grandi scrittori, è la realtà la fonte di ispirazione primaria. Così De Giovanni è ricorso all’aiuto di un amico medico legale a cui ha chiesto relazioni e referti cui poter attingere per le descrizioni degli assassinati, componente essenziale di un giallo che si rispetti. «All’inizio restavo impressionato da questi referti, ma non nel senso fisico – spiega lo scrittore napoletano -. Mi faceva molta malinconia vedere la macchina rotta, la riduzione allo stato di cosa di quello è stato un essere umano. Per incidenti o per mano della propria stessa o altrui volontà, è sempre qualcosa che ferisce molto. Prendi coscienza di qualcosa che sai in linea teorica ma nella realtà conosci quanto terribile può diventare un essere umano nei confronti di un altro essere umano».
Scrivere è anche sacrificio. Per poter completare libri come quelli del Commissario Ricciardi lo studio può arrivare anche a un anno. Poi in 30 giorni il romanzo viene buttato giù. «Ho dovuto acquisire una certa competenza sul piano della medicina legale, anche perché la necessità di non ripetersi per un autore di romanzi seriali è il primo problema – aggiunge il giallista -. Scrivere 12 romanzi senza ripetersi e senza incorrere mai nelle stesse descrizioni rende la cosa abbastanza complessa. Ma ho avuto la fortuna di poter fruire di straordinari professionisti che ti danno una mano e che si divertono a darti una mano».
A De Giovanni abbiamo chiesto anche qual è il suo rapporto con il medico e anche qui non sono mancate le sorprese: «Sono un pessimo paziente. Io ho un figlio medico, speravo facesse il geriatra per bassi interessi personali e familiari. Invece, purtroppo per me ma per fortuna sua, fa l’ortopedico. È uno di quelli che ti tiene sotto controllo costantemente. Sono perennemente costretto ad analisi, controanalisi, radiografie, schermografie, a prove da sforzo che eviterei volentieri».
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