A differenza dei medici ospedalieri, ai MMG e ai pediatri di libera scelta il Covid non viene riconosciuto come infortunio sul lavoro. Il presidente Avano: «Alle istituzioni chiediamo di tutelare questa categoria di medici che durante la pandemia ha avuto un ruolo importante». A loro la solidarietà del presidente FNOMCeO Anelli
«La giornata nazionale della memoria del personale sanitario deceduto per il Covid è una bella iniziativa ma secondo noi è troppo poco. Ora è il momento che lo Stato dia delle risposte». È determinato Gennaro Avano, presidente della neonata associazione dal nome evocativo “Medici a mani nude”, che raccoglie i familiari di medici di famiglia e pediatri di libera scelta deceduti dopo aver contratto il Covid.
Durante la pandemia è stato alto il tributo di vittime tra i camici bianchi: in tutto 365 i medici caduti, circa la metà erano medici di medicina generale che operavano come medici di famiglia, guardie mediche, medici penitenziari, del 118, delle Rsa o pediatri di libera scelta. Medici a mani nude per ora ha raccolto circa 35 famiglie, ma il numero è destinato ad allargarsi.
«Abbiamo contattato tramite Facebook le famiglie dei medici di medicina generale deceduti per Covid – racconta Avano -. La lista l’abbiamo presa dal sito della Federazione dell’Ordine dei medici, dove c’è l’elenco. Abbiamo presto capito che per avere un peso maggiore era necessario costituire un’associazione che ci potesse rappresentare tutti».
Ora Avano e gli altri componenti dell’associazione hanno deciso di farsi sentire: per queste famiglie, infatti, alla sofferenza di aver perso un proprio caro si aggiunge il danno economico. «Alle istituzioni chiediamo di tutelare questa categoria di medici che durante la pandemia ha avuto un ruolo importante – spiega Avano -. A loro è stato richiesto di andare a fare un primo scudo ed evitare le ospedalizzazioni senza avere però dallo Stato, dalle Asl e dagli enti competenti le mascherine e i mezzi di protezioni. Sono stati mandati in guerra senza armi, “a mani nude” e per questo la nostra associazione si chiama così».
I medici di medicina generale, infatti, operando in regime di convenzione non hanno la copertura Inail: «I medici ospedalieri – spiega Avano – che sono lavoratori dipendenti, hanno delle tutele che gli sono state date dall’Inail che è il loro ente di riferimento assicurativo. Al contrario i medici di base non hanno queste tutele perché non sono contribuenti Inail. Hanno un’assicurazione privata tramite Enpam, che è la Cattolica, che però non riconosce Covid come infortunio ma come malattia e non vuole indennizzare questi medici e classificare la loro scomparsa come infortunio pur avendo all’interno della polizza la copertura della morte per infortunio».
Per i familiari di questi medici, al momento, nessuna forma di ristoro è stata prevista: «È stata istituita una giornata nazionale della memoria del personale sanitario deceduto per il Covid, ma per noi è troppo poco. Qua parliamo di famiglie: alcune avevano entrambi i coniugi che lavoravano, altre avevano solo quell’entrata e ora si trovano in difficoltà. La mancanza di un’entrata importante come poteva essere quella del capofamiglia è una perdita sia affettiva che economica perché molte famiglie sono rimaste prive dell’introito principale».
In realtà qualcosa si muove sul fronte parlamentare. Un disegno di legge a prima firma Maria Cristina Cantù (Lega) è già all’esame della commissione Sanità del Senato e non è escluso che queste istanze vengano recepite in legge di Bilancio. La norma prevede un indennizzo di 100mila euro una tantum erogato da parte dell’Enpam ai familiari dei medici non dipendenti che abbiano riportato lesioni o siano deceduti per Covid, entro il limite massimo di spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2021.
«Il progetto di legge ha molti problemi – rileva Avano -. Così come è scritto non darà benefici praticamente a nessuno: il problema sono i criteri di accesso a questo fondo. Innanzitutto, 50 milioni di euro complessivi è una cifra abbastanza ristretta che andrebbe ampliata. Inoltre, i criteri di accesso sono troppo stringenti: i primi beneficiari sono i coniugi a carico e secondo un’analisi statistica all’interno del nostro gruppo in realtà di coniugi a carico ce ne sono pochissimi perché fortunatamente quasi tutti lavorano. L’altro criterio di accesso è avere figli minorenni o inabili al lavoro. Ma parliamo in realtà di una fascia di medici deceduta che avevano tra i 55 e i 65 anni, spesso prossimi all’età pensionabile. Molto difficile che una persona di 60 anni abbia un figlio minorenne e questo rende ancora più improbabile l’accesso al fondo. Noi chiediamo che si allarghino le maglie e ne possano beneficiare più famiglie. Così com’è scritto su 365 famiglie ne potranno beneficiare 10-15».
Così i componenti di Medici a mani nude hanno deciso di sensibilizzare le istituzioni sul tema. A partire dalla FNOMCeO: dopo un incontro con una delegazione di Medici a mani nude, il presidente Filippo Anelli ha espresso solidarietà e vicinanza all’associazione e si è detto «disponibile a valutare le richieste e a rappresentarle nelle giuste sedi».
«Non stiamo chiedendo l’impossibile – conclude Avano – ma solo una tutela per questi medici che hanno speso la loro vita per la propria professione e fino all’ultimo hanno esercitato la loro attività professionale senza sottrarsi al pericolo verso cui andavano incontro».
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