Giacomo Caudo, presidente nazionale della Fimmg, pone l’accento sui mancati investimenti per la medicina di famiglia e ricorda: «Mezzo milione di positivi chiamano i medici di base per motivi di salute, psicologici, sociali e anche burocratico-amministrativi»
Una delle strategie del Governo per affrontare la seconda ondata di pandemia da Covid-19 poggia sul contributo della medicina territoriale e, in particolare, dei medici di base. «La medicina generale – spiega Giacomo Caudo, presidente nazionale della Fimmg a Sanità Informazione – ha deciso di partecipare alla campagna per l’esecuzione di tamponi antigenici rapidi perché si è resa conto della grande difficoltà in cui si trovano i dipartimenti di prevenzione del Paese che non riescono a gestire l’enorme mole di lavoro».
L’azione dei medici di famiglia in base all’ultimo accordo nazionale prevede l’esecuzione di due milioni di tamponi da distribuire a 50mila professionisti tra Mmg e pediatri di libera scelta. «Secondo i calcoli – precisa Caudo – si tratta di circa 40 tamponi a sanitario. Il target dei cittadini che possono essere sottoposti a tamponi sono i contatti stretti, asintomatici, di individui positivi al termine del periodo di quarantena e i pazienti asintomatici individuati dai dipartimenti di prevenzione o dal medico stesso».
A questo accordo seguiranno le trattative regionali che, non appena esecutive, determineranno la consegna dei kit di tamponi rapidi: «Questione di giorni», afferma Caudo. Tutte le sigle sindacali dei pediatri di libera scelta hanno aderito all’iniziativa del Governo. Non si può dire lo stesso per la medicina generale, spaccata tra malumori e polemiche. Non tutte le sigle sindacali hanno aderito ma naturalmente l’accordo vale per tutti. «Tutti i medici di base devono rispettare l’intesa – ribadisce Caudo – salvo le naturali eccezioni: medici fragili o impossibilitati ad eseguire i test in condizioni di sicurezza».
La medicina generale si fa dunque carico di un’ulteriore responsabilità come sentinella di frontiera nella lotta al virus per allentare la pressione sugli ospedali. Ciononostante, il ruolo dei medici di famiglia in queste settimane è sotto attacco: sono accusati di non effettuare correttamente il primo filtro tra paziente e sistema sanitario, di interventi poco rapidi o errati sui pazienti Covid e non.
Caudo parla di «attacchi strumentali e facilmente contestabili» e ricorda quanto poco sia stato investito nella medicina di famiglia, in termini di risorse umane ed economiche come il personale di segreteria, infermieri, e strutture: «Molto è stato giustamente investito negli ospedali – sottolinea – ma quando si valutano i risultati bisogna anche aver presente quanto è stato fatto perché questa componente del SSN potesse funzionare. In passato si è fatto molto poco per la medicina del territorio anche a livello di prevenzione; oggi i dipartimenti hanno il personale ridotto all’osso e non riescono a gestire tutto. Le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) sono un valido aiuto ma si occupano di un target particolare. Il fulcro del problema è rappresentato da quel mezzo milione di soggetti positivi che chiedono risposte non solo mediche ma anche psicologiche e burocratico-amministrative e non le trovano. Con un investimento di risorse residuale per la medicina del territorio, sono messi in secondo piano rispetto a problematiche più serie».
«Oggi ci sono 590.110 persone contagiate a fronte di quasi 30mila ricoverati – evidenzia Caudo – che devono essere seguiti e monitorati attentamente: parliamo di problemi psicologici, sociali, ma anche amministrativi perché sono dei lavoratori. Vogliamo chiedere a queste persone chi riescono a contattare più agevolmente? La risposta sarà senza dubbio il medico di base. Non è facile parlare con gli operatori del numero verde regionale né con i Sisp o i dipartimenti di prevenzione che, tra l’altro, invitano a rivolgersi sempre ai medici di base. Ci dicono, superficialmente, che il telefono del medico di famiglia è sempre occupato – prosegue – questo accade perché risponde alle varie e moltissime richieste dei pazienti, non solo al fisso dello studio ma anche al cellulare, effettua i vaccini, gestisce i piani terapeutici dei pazienti cronici eccetera. Tutti preferiscono chiamare il loro medico di fiducia perché è un punto di riferimento per il cittadino».
Anche un paziente asintomatico o paucisintomatico ma positivo al covid è un paziente da assistere e seguire a livello clinico ma, spesso, anche burocratico. Ne sono un esempio le certificazioni per quarantena o isolamento: «Il contatto stretto di un positivo – precisa Caudo – deve essere isolato ma non è malato, per cui non si può fare il certificato di malattia. La comunicazione dell’isolamento sanitario non può essere trasmessa dal medico di base ma solo dall’autorità sanitaria, dai dipartimenti di prevenzione. La comunicazione all’Inps però va fatta dal medico di medicina generale. Un doppio lavoro, ma noi non ci siamo tirati indietro. Inoltre, una volta arrivato l’esito negativo del tampone, dobbiamo inserirlo nel sistema e fare un’attestazione per tranquillizzare il datore di lavoro per il rientro del soggetto in comunità».
Ed è per questo che la Fimmg ha siglato l’accordo per l’esecuzione dei tamponi: «Per spirito di sacrificio – sostiene il presidente – perché la medicina generale, di fronte a una formale richiesta del Governo, non si è tirata indietro, comprende il periodo difficile e vuole venire incontro alle esigenze dei pazienti. Vuole dare ossigeno ai dipartimenti e risposte a mezzo milione di cittadini positivi o sani ma preoccupati, che sono ansiosi di sapere se sono stati contagiati, si trovano in quarantena privati della libertà e a volte non riescono a eseguire il tampone. Ecco, l’accordo serve a liberare i cittadini». Un altro compito per i medici di famiglia, gli stessi che hanno lavorato «privi dei dispositivi di protezione individuale e hanno pagato un altissimo tributo in termini di vittime nella prima fase della pandemia», conclude Giacomo Caudo.
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