Tre mascherine a testa, tanto coraggio e tanta pazienza. Tra psicosi da arginare e dotazioni quasi inesistenti. «Ma domani andrà meglio di oggi: non possiamo permetterci di non avere fiducia»
Sono i giorni più difficili, quelli in cui i numeri del contagio aumentano e in maniera esponenziale aumenta la paura. Siamo nei due comuni di Codogno e Vo’ Euganeo, rispettivamente nel Lodigiano e nel Padovano, due paesi che insieme non arrivano a contare ventimila anime, e che negli ultimi giorni sono passati tristemente alla ribalta per essere stati i primi focolai italiani di epidemia di Covid-19. Da qui, dal profondo Nord, il virus ha iniziato il suo viaggio verso il resto del Paese. Negli ospedali si lavora senza sosta, nei reparti e nelle terapie intensive. Ma i presidi sanitari territoriali, medici di base, pediatri di famiglia, farmacie, sono l’avamposto a difesa della comunità, posto di blocco delle paure ingiustificate, crocevia di domande, richieste di rassicurazioni, chiarimenti. Eroi silenziosi in prima linea, chiamati a difendere e a difendersi da un nemico invisibile, troppo spesso, senza le armi adatte. Le mascherine scarseggiano, il contatto umano è inevitabile: sono loro il bersaglio più facile del Coronavirus. Nessuno viene meno alla sua missione, ma le farmacie sono allo stremo. «Cosa posso dirle, è il delirio: lavoriamo a battenti chiusi, e abbiamo la fila fin dall’altro capo del marciapiede – ci rispondono da una farmacia Navilli di Codogno – ma andiamo avanti, siamo fiduciosi, e non perdiamo il controllo. Non possiamo permettercelo».
La dottoressa Maria Clelia Negri, medico di famiglia, direttamente dall’epicentro Codogno, ci racconta di giornate al limite del surreale. «C’è paura, tanta, e la gente purtroppo capisce quel che vuole capire e a modo suo. Il problema è anche che noi dovremmo essere disponibili solo per le urgenze, e invece le persone vengono anche per banalità non rendendosi conto che così facendo tolgono spazio a chi potrebbe avere più necessità. Le persone oscillano tra la psicosi e il tentativo di sdrammatizzare, ma per lo più regna il panico e l’incertezza. Devo dire, però, che va un po’ meglio ogni giorno, come se la gente si stesse quasi abituando a questa situazione. Per quanto riguarda noi medici di famiglia, che dire… ci avevano promesso scanfandri, camici e quant’altro. Sa qual è la mia dotazione di sicurezza al momento? Tre mascherine». Nonostante questo, la dottoressa di Codogno è ottimista e invita a mantenere la calma e la lucidità: «Io la penso così: questa è una influenza più tosta delle altre, che su alcuni soggetti debilitati per altri motivi può dare esito fatale. Ad oggi quasi nessuno sta sviluppando complicanze, e i decessi avvenuti riguardano persone con patologie pregresse per le quali è difficile dire con certezza che sia stato il virus a causarne la morte. La psicosi è assolutamente immotivata, e può fare molti danni. Il mio consiglio è di stare attenti, di essere prudenti, ma senza farsi prendere dal panico, assolutamente».
Interessante è il punto di vista del dottor Carlo Bargiggia, medico di base a San Colombano al Lambro, comune del milanese confinante col lodigiano. Il dottore ci racconta di una situazione incerta e difficile, dettata dal fatto di essere situati geograficamente vicinissimi alla “zona rossa”. Per ora nel Comune non ci sono contagiati ma si convive da giorni con una spada di Damocle sulla testa. «Ci atteniamo alle indicazioni del Comune per quanto riguarda i comportamenti da adottare in materia di igiene e prevenzione, soprattutto qualora si presentassero sintomi sospetti. A livello più ampio, a parte la chiusura delle scuole, e l’apertura dei negozi ad accesso contingentato, l’indicazione sempre valida è quella di evitare gli assembramenti e i locali affollati. Resta il fatto che siamo un enclave della provincia di Milano, incastonata tra le province di Lodi e Pavia. Io stesso, che risiedo in una zona collinare abbastanza isolata, cerco di limitare gli spostamenti allo stretto necessario. Gli abitanti di San Colombano si spostano per lavoro in tutte le direzioni, Lodi, Codogno, Pavia, Milano. Questo ci dice che dobbiamo stare all’erta e mettere più che mai in atto comportamenti responsabili».
Stesso paese, diverso atteggiamento dei pazienti: l’esperienza della dottoressa Laura Gruppi, pediatra di famiglia codognese, è diversa da quella della collega Mmg: «Stiamo continuando a lavorare secondo le indicazioni che abbiamo ricevuto: riceviamo solo su appuntamento per evitare il sovraffollamento negli ambulatori, dove appunto può entrare un paziente alla volta. La gente per fortuna ha capito la situazione e devo dire che negli ultimi giorni nessuno sta chiamando per banalità. Il problema è che sta diventando molto difficile fare i tamponi». Una cosa in comune rimane, tra medici di famiglia e pediatri: le dotazioni assolutamente inadeguate. Anche qui: «tre mascherine è tutto quello che ho al momento. Ora però devo lasciarla: non posso tenere il telefono occupato».
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