Il malessere dei medici di famiglia, tra carenza di colleghi, difficoltà a trovare sostituti e una burocrazia sempre più elevata, «è palpabile» e arriva a sfiorare il 90% di professionisti. Lo dicono i sindacati, gli esperti di sanità, gli analisti del settore. E lo dicono i pensionamenti anticipati che crescono
Disturbi del sonno, ansia, paura, aumento dei carichi di lavoro che ha sottratto tempo alla famiglia, al riposo, alla vita privata. Il malessere dei medici di famiglia, tra carenza di colleghi, difficoltà a trovare sostituti e una burocrazia sempre più elevata, «è palpabile» e arriva a sfiorare il 90% di professionisti. Lo dicono i sindacati, gli esperti di sanità, gli analisti del settore. E lo dicono i pensionamenti anticipati che crescono: si è passati, secondo i dati Enpam, dai 718 camici bianchi che hanno lasciato prima il lavoro nel 2019 ai 1.096 del 2022, numeri complessivi delle medicina generale, comprensivi dei pediatri, che sono indicativi pur considerando la gobba pensionistica in atto. Secondo la Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo), sulla base dell’indagine realizzata dall’Istituto Piepoli lo scorso marzo, la quota dei camici bianchi di famiglia che si dichiara stressata, raggiunge il 90%. E l’11% di questi professionisti dal 2020 al 2022 ha riscontrato problemi di salute che prima non aveva, soprattutto disturbi del sonno.
La situazione non sembra molto cambiata visto che «alcuni fattori di rischio stress ereditati dalla pandemia non sono variati», spiega all’Adnkronos Paolo Misericordia, responsabile del Centro studi della Federazione dei medici di medicina generale (Fimmg). «Durante la pandemia abbiamo aperto una serie di canali che erano assolutamente necessari per affrontare l’emergenza e per assistere i nostri pazienti, dai WhatsApp ad altre piattaforme social o le mail. In quel momento – continua – è stato importante farlo. Ora però tornare indietro è impossibile. Ma per il medico significa gestire, insieme alle mille incombenze della professione, decine di messaggi al giorno che necessitano attenzione. I pazienti, di fronte a un problema di salute, si aspettano una risposta in qualsiasi momento, alle 5 del mattino come alle 22. Le interazioni continue assottigliano i tempi di vita del medico e fanno crescere lo stress», avverte Misericordia. In questo quadro «ora dovremo trovare soluzioni, anche tecnologiche, come algoritmi in grado di discriminare e dare livelli di priorità ai messaggi. Questo renderebbe la vita del medico vivibile».
I medici di famiglia durante la pandemia, «hanno sopportato carichi di lavoro enormi», conferma Pier Luigi Bartoletti, segretario provinciale della Fimmg Roma. E hanno accumulato stress, paura, stanchezza, ansia. A Roma «abbiamo avuto anche casi eclatanti, come un collega finito in ospedale per stress post traumatico e alcuni che si sono rivolti ai servizi di assistenza psicologica», aggiunge Bartoletti. Sintomi di burnout. Ora, passata l’emergenza, «restano comunque elementi di disagio. E’ difficile però che si ammetta il problema e che si parli di richieste di aiuto psicologico. Il malessere è evidenziato soprattutto dal forte aumento dei pensionamenti anticipati, anche 7 o 8 anni prima». A rischiare di più l’esaurimento «sono i medici più attaccati al lavoro, che difficilmente accettano l’evidenza di doversi fermare. E anche quelli che lavorano da soli, meno protetti sul piano psicosociale da chi lavora in ambulatori con altri».
«Quello che vediamo – continua Bartoletti – è una difficoltà che viene affrontata cercando vie di fuga. E le pensioni anticipate sono la punta dell’iceberg. Sono molto di più quelli che lascerebbero se potessero, che chiedono all’Enpam il conteggio pensionistico. Abbiamo avuto anche casi di medici che sono andati in pensione a 63 anni invece che a 70. E ci sono diversi colleghi che, per il super lavoro, si sono ammalati». Anche chi assiste gli altri, ha bisogno di essere curato. «Ai primi segni di esaurimento – spesso raccontati nelle chat fra medici – la comunità sindacale e i colleghi consigliano di staccare un po’, di prendersi una vacanza».
A volte una vacanza non basta e si ha bisogno di assistenza specializzata. Oggi la pressione sulla medicina generale «non è più drammatica come in pandemia, anche la situazione sta migliorando», ma «rimane alta – sottolinea Bartoletti – perché oltre al lavoro normale, la burocrazia, ritmi folli, resta anche, come eredità del Covid, la ‘porta’ dei social aperta ai pazienti in maniera continua. A questo si aggiungono le difficoltà a dare risposte rispetto a problemi che i pazienti ci pongono tutti i giorni proprio per il Covid, una malattia che oggi gestiamo noi – dalla diagnostica alla burocrazia – anche perché le comunicazioni sul da farsi, che erano puntuali in tempi di pandemia, ora non ci sono più. Molti colleghi sono anche spaesati».
I medici di famiglia di Roma e provincia sono ad alto rischio stress nel post Covid. Il fenomeno è «allo studio dell’Ordine dei medici, per capire le dimensioni del problema, trovare le soluzioni e avviare iniziative per sostenere i colleghi», annuncia Antonio Magi, presidente dell’Ordine dei medici di Roma e provincia, evidenziando come a partire dall’emergenza pandemica i medici del territorio manifestino sempre più disagio professionale. «Il grande problema è rappresentato – continua Magi – soprattutto dalle modalità d’accesso, molto cambiate. Durante il Covid l’utilizzo della messaggistica per contattare il proprio medico è cresciuta enormemente. E questo canale ormai resta aperto. Ciò vuol dire che un professionista con 1.500 pazienti riceve ogni giorno un numero di messaggi difficili da gestire, che si somma al lavoro quotidiano e alle maggiori incombenze burocratiche».
«Un carico evidentemente molto pesante a cui molti medici di famiglia non hanno retto», sottolinea Magi. «In particolare i più anziani che, in diversi casi, hanno lasciato la professione in anticipo. Abbiamo avuto un picco importante di abbandoni che si declina sul territorio con una forte carenza di medici di medicina generale in alcune aree, in particolare le zone della periferia più difficili della capitale». Dove, racconta Magi, «succede anche di vedersi arrivare pazienti armati in studio». L’Ordine «ha già realizzato alcune survey per fare il punto su come si sentono i medici della provincia, sul territorio ma anche negli ospedali. Ora vogliamo avere una fotografia più chiara per individuare, poi, azioni di supporto concrete – chiosa il presidente dell’Ordine – e non lasciare soli i colleghi».
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