Il Segretario Nazionale si scaglia contro la mancanza di programmazione: «Per noi nessun fondo in Finanziaria, ma non esiste vaccinazione di massa senza medicina del territorio»
«Includere i medici di medicina generale nel piano di somministrazione del vaccino anti-Covid? Se le condizioni restano quelle attuali, quando verranno a bussare alla mia porta non aprirò». Un duro atto d’accusa quello mosso dal Segretario Nazionale Fimmg Silvestro Scotti davanti alla proposta a più voci di un coinvolgimento degli studi dei medici di famiglia nella campagna vaccinale appena iniziata.
«Da parte nostra, come è noto, fino ad oggi c’è stata piena disponibilità ad effettuare i test sierologici e i tamponi antigenici. Ma in Finanziaria – osserva Scotti – 100 milioni di euro di incentivi per l’effettuazione dei vaccini sono stati stanziati per gli ospedalieri, nulla invece per la medicina convenzionata. Ed è evidente che per noi iniziare a fare vaccini comporterebbe uno sforzo organizzativo ed economico notevole, in primis in termini di personale adeguatamente formato per la preparazione e la conservazione delle dosi, così come di personale infermieristico, di cui non tutti gli studi ad oggi dispongono. Per non parlare del fatto che si tratterebbe di un’attività svolta extra orario di lavoro. Insomma – continua Scotti – davvero noi medici di famiglia dobbiamo essere ancora una volta trattati come l’ultima ruota del carro ed essere gli unici a farci carico di queste spese? Non può più essere così».
Uno spiraglio? «Va da sé che se dovessero essere varati nuovi provvedimenti finanziari – afferma Scotti – o se le Regioni decidessero di attingere ai loro fondi per darci la possibilità di essere coinvolti riorganizzando appositamente i nostri studi, allora potremmo ragionarci». A lasciare fortemente perplesso il Segretario Fimmg è anche la mancanza di chiarezza sulla ratio con cui vengono decisi i destinatari prioritari del vaccino. «Si è detto di vaccinare prima gli ultraottantenni delle RSA; tuttavia, soprattutto al Sud, la maggior parte degli ultraottantenni non vive nelle RSA. Non si sta tenendo conto – spiega – delle peculiarità a livello regionale, cosa che non farà altro che aumentare le disparità, anche in quest’ambito, tra le varie Regioni. Si è detto poi di dare priorità agli operatori sanitari – aggiunge -, peccato che ad oggi, in tutta Italia, la stragrande maggioranza degli operatori sanitari che hanno ricevuto il vaccino è nella fascia 20–40 anni, quindi quella meno a rischio complicazioni da Covid. La reputo una follia». Altra questione: chi vaccina i vaccinatori? «Se noi medici di famiglia dobbiamo vaccinare – afferma Scotti – dobbiamo quanto meno essere prima vaccinati. Ad oggi le strategie adottate, non ultime quelle di comunicazione, non mi sembrano adatte a condurre la nave in porto».
Per contro, una vaccinazione di massa senza il coinvolgimento della medicina territoriale è impensabile. Al di là della prima tranche di vaccinazioni attualmente in corso, pubblicizzata, a tratti spettacolarizzata, che si sta alimentando anche dell’onda emozionale e di un entusiasmo facilmente comprensibile, a breve si tratterà di fare i conti con l’entrata a regime della campagna, che riguarderà milioni di persone (il 70% della popolazione per arrivare al traguardo dell’immunità di gregge). Tra cui gli scettici. «Lo stanziamento degli incentivi solo a favore degli ospedalieri – osserva il Segretario Nazionale Fimmg – è una dichiarazione neanche tanto implicita che la campagna vaccinale sarà solo appannaggio degli ospedali. Ebbene, se sarà così ci vorranno 5 anni per vaccinare quella percentuale di italiani. Per non parlare poi – conclude – dello “zoccolo duro” degli scettici: da chi crede che si lasceranno convincere se non dal loro medico dei famiglia?».
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