Il vicesegretario della Fimmg: «Bisogna prevenire le malattie croniche e poi dichiarar loro guerra, rompendo gli schemi e istituendo una rete di servizi alla persona che integri ospedale e territorio». E sulle liste d’attesa: «È normale che mostri burocratici come i CUP non rispettino i tempi previsti per le singole patologie. Non avere la possibilità di gestire il percorso del malato cronico dal proprio studio è una grave limitazione per il medico di famiglia»
«Se noi medici di famiglia continuiamo ad essere gli unici in Europa a non poter prescrivere farmaci innovativi per le malattie croniche, il problema è economico, non sanitario». Così Pier Luigi Bartoletti, vice segretario nazionale della Fimmg, commenta l’ormai annoso dibattito sulla gestione delle cronicità e il ruolo del medico di medicina generale, che non può prescrivere il piano terapeutico, compito esclusivo dello specialista. «Il prezzo del farmaco non cambia in base a chi lo prescrive – continua Bartoletti, cercando la ratio della misura -. Significa allora che si vuole limitare l’accesso a quei farmaci per non aumentare la spesa. Chi amministra deve prendersi le sue responsabilità se in questo Paese ci sono ancora malati cui devono essere amputati piedi o gambe quando potrebbero essere curati in maniera migliore con farmaci innovativi».
Quella contro le malattie croniche è una delle battaglie più importanti che un Paese anziano come il nostro è chiamato ad affrontare, in primis «riscoprendo e promuovendo la prevenzione», ma poi «dichiarando guerra alle cronicità». E per vincerla, la guerra, secondo Bartoletti «bisogna rompere gli schemi, cominciando ad innovare anche mentalmente l’approccio alla problematica. «Forse è tempo – spiega il vice segretario della Fimmg – di non parlare più di ospedale e territorio, ma di parlare di rete di servizi alla persona, alcuni dei quali vengono offerti nel setting ospedaliero ed altri lontano dall’ospedale. D’altro canto, i bisogni del Paese sono diversi da quelli di 40 anni fa, quando è nato il Servizio sanitario nazionale».
Un cambiamento necessario anche per i malati cronici, che «non hanno tanto necessità di un medico, quanto dell’assistenza – prosegue Bartoletti -. Sono malattie gestibili, ma purtroppo non curabili, e richiedono quindi riabilitazione o fisioterapia. Servono altre figure che riescano a soddisfare i loro bisogni».
Il medico di medicina generale potrebbe però ricoprire un ruolo importante nell’accesso del malato cronico ai servizi ospedalieri: «Stiamo cercando di avvicinare ospedale e territorio per facilitare l’accesso ai servizi dei pazienti cronici al di fuori dalle logiche delle liste d’attesa, che fanno aspettare troppo a lungo persone che non possono permetterselo. Non avere la possibilità di gestire il percorso e la presa in carico di quel malato dal mio studio di medico di famiglia è sicuramente una grave limitazione – aggiunge Bartoletti -. Se tutto viene delegato a una tecnostruttura, a un mostro burocratico come il CUP, per il quale si è dei numeri, è normale che i tempi di attesa previsti per le singole patologie non vengano rispettati. E così le persone, per ricevere una prestazione in tempi rapidi, devono ricorrere al portafoglio e recarsi in strutture private. Questo non è accettabile».
«Allo stesso tempo – continua -, c’è anche chi, al contrario, per evitare liste di attesa o ticket va al Pronto soccorso in maniera reiterata, togliendo risorse a chi ne ha bisogno e facendo aspettare chi non può aspettare. Ricordiamoci dei diritti, ma anche dei doveri», conclude.